Dell’accordo tra l’uomo e la natura resta l’immagine struggente di una casa in rovina sull’altura

La casa sull'atura di Simone Massi, Nino De vita - 2011 Orecchio acerbo
La casa sull’altura di Simone Massi, Nino De vita – 2011 Orecchio acerbo

La casa sull’altura è abbandonata. Da lontano non si direbbe. Poi, a guardar bene, ci si accorge che i campi sono ormai a saggina e gli unici frutti che potrebbero essere raccolti sono i fichi d’india.

Siamo in Sicilia? Potrebbe darsi da come sembra riluca il sole sul tratto in bianco e nero di Simone Massi. Solo certi raggi di sole sono capaci di farlo, come lo farebbero sulla striatura argentea di una lumaca.

Ma la campagna è campagna ovunque, in Sicilia come nelle Marche, in Calabria come in Sardegna, in Italia come in Russia (e non a caso il libro è già stato edito in Russia, cercato e accolto con grande passione). Non dovevo leggere la postfazione di Goffredo Fofi, non dovevo farlo perché adesso non posso fare a meno di condividere il suo punto di vista e di scoprirlo assolutamente in linea con il mio. Cita Pasolini, Silone, cita Levi e Kapuscinski e radica la sua lettura nel principio dell’accordo perduto e tradito tra uomo e natura.

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La casa sull’altura di Simone Massi, Nino De vita – 2011 Orecchio acerbo

La casa dell’altura ha un tetto di legno e di tegole, una stanza, una cucina in cui troneggia la nicchia con la Madonna, luogo del raccoglimento, dei numi tutelari, della preghiera. Il letto con la testata di ferro battuto, le sedie impagliate sistemate dallo scorrere del tempo e dalle folate di vento come se ci fosse un disegno, vicino alla finestra e alla luce. Immagino i bimbi, ginocchia sull’impagliatura, gomiti sul davanzale, occhi alla valle in attesa del ritorno dei genitori.

La casa sull’altura è abbandonata, i proprietari si sono trasferiti in città, ma qualcuno vi trova ancora rifugio e conforto. Gli animali, molti solo di passaggio, alcuni per tutto l’anno, come i ragni, vivono lì. Un giorno arriva di corsa, segnando l’erba del passo veloce, un bambino; e gli animali sperano che sia arrivato per restare. La loro sintonia dura due settimane, poi il bimbo, improvvisamente, così come era arrivato, torna sui suoi passi, per non fare più ritorno.

Le tavole si leggono assieme ma potrebbero raccontare ciascuna la propria storia. Le parole si legano alle illustrazioni e ritmicamente le cantano. Incontrare il siciliano dei versi di De Vita in chiusura, poi, è un ritorno, un ritorno proprio a quei sentimenti universali che in ogni campagna imperano.

La casa sull'atura di Simone Massi, Nino De vita - 2011 Orecchio acerbo
La casa sull’altura di Simone Massi, Nino De vita – 2011 Orecchio acerbo

Ho letto la postfazione.
Avrei dovuto abbandonarmi allo sgomento profondo che mi ha attanagliato lo stomaco dinanzi alla forza struggente della disperazione fanciulla. La disperazione di un bambino è simile solo ad altri due tipi di disperazione: quella dei vecchi e quella degli animali. Gli occhi si riempiono di cose mai o già viste; si riempiono di rimpianti e solitudine, smarrimento e senso di inadeguatezza, e parlano ma in un linguaggio a noi esseri del limbo, in cui la fanciullezza è distante e la vecchiaia altrettanto, assolutamente incomprensibile. Laddove degli animali comprendono, noi piangeremmo; laddove degli animali si entusiasmano, noi avremmo il bisogno di organizzare e dare forma alle cose e ai propositi. Laddove gli animali si lasciano andare al senso (profondo) e distruttivo della disperazione, noi cercheremmo la mediazione e di tutto questo resteremmo feriti, ripiegati su noi stessi, sradicati. Foglie accartocciate sul pavimento ormai in rovina di una vecchia casa di campagna.

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Titolo: La casa sull’altura
Autori: Nino De Vita e Simone Massi (ill.)
Editore: Orecchio acerbo
Dati: 2011, 68 pp., 16,50 €

Trovate questo libro tra gli scaffali del Giardino Incartato, libreria per ragazzi in via del Pigneto 303/c, Roma. 

Una miniera chiamata Speranza

Mio padre il grande pirata è uno dei pochi libri editi da Orecchio acerbo che non ho recensito non appena ricevuto. Si tratta anche del rapporto che tra i libri e i lettori si crea. A volte diventa troppo partecipe, a volte va a suonare corde scordate e la melodia che ne nasce è confusa, inciampa e inciampando cade; fino a quando non trova un appiglio cui aggrapparsi con uno scatto di braccia, un colpo di reni. E quell’appiglio per me, oggi, è la festa del papà; ché come tutte le feste calendarizzate un po’ mi sta stretta e un po’ non le resisto. In effetti la celebrazione corale è una scusa. L’appiglio vero è la sostanza, è il padre.

Mio padre il grande pirata di Quarello, Calì - 2013 Orecchio acerbo
Mio padre il grande pirata di Quarello, Calì – 2013 Orecchio acerbo

Del mio per esempio conservo un album della memoria complesso e fitto, minuziosamente annotato; un album fatto di immagini e ricordi. Una delle immagini più nitide lo ritrae sdraiato sul divano con un braccio penzoloni e l’altro ripiegato sotto la testa, gli occhi chiusi e sugli occhi delle fette di patate. Perché mio padre piangeva polvere di ferro. E mio padre ha paura delle medicine, ma non dei tuberi. Mio padre non si lamentava. Poi il bruciore passava. Quell’immagine adesso è memoria, allora era fonte di avventure memorabili raccontate ad occhi chiusi, sdraiati sul divano col braccio penzoloni. Scale saldate gradino per gradino sulle cupole delle chiese, sotto alla pioggia, in balia del vento; scalino per scalino da terra fino al cielo per suonare le campane, per esempio.

Mio padre quando io ero bambina e lui era giovane faceva il fabbro ferraio, ma io lo immaginavo eroico e lui non faceva nulla per farmi credere il contrario. Per questo mio padre eroe, questo albo era rimasto lettura intima e commossa. Fino ad ora, naturalmente.

Mio padre il grande pirata di Quarello, Calì - 2013 Orecchio acerbo
Mio padre il grande pirata di Quarello, Calì – 2013 Orecchio acerbo

Davide Calì e Maurizio A.C. Quarello insieme per 48 pagine tra le quali nessuna inciampa sull’accidentato terreno del patetismo. C’è un bimbo che è un uomo che racconta del padre che era un pirata, dritto come un fuso su una spiaggia, le guance inondate di luce; sulle spalle un mantello di sole. Stivali alti, cappello e bandana. Manca un pappagallo, in compenso c’è una pala per scavare alla ricerca di tesori. C’è un uomo che racconta in un mise en abyme, che scivola via leggero, del Tatuato, del Barbuto, di Centesimo (eccolo il pappagallo!) che parlava al posto del suo padrone che invece non parlava mai. C’è una nave, una nave chiamata Speranza che di speranza è una miniera; speranza di tornare a casa.

L’uomo che era un bambino viveva di racconti straordinari e collezionava i tesori che il padre, che era un pirata, gli riportava ogni volta dalle sue avventure, che duravano un anno intero. Un paguro, una pipa, un dente di squalo, una conchiglia. E infine una bandiera, una originale bandiera pirata. Fino a quando per un incidente il pirata morì e al suo posto restò il padre minatore. Nel momento crudele in cui si infrangono i sogni, in quel momento crudele, non c’è spazio per la comprensione e poco respiro per il perdono. “Avevo trovato un altro papà. Un papà coraggioso che scavava sotto terra, al buio e senza aria, ma che raccontava bugie. E non sapevo se gli avrei voluto bene”.

Mio padre il grande pirata di Quarello, Calì - 2013 Orecchio acerbo
Mio padre il grande pirata di Quarello, Calì – 2013 Orecchio acerbo

Questa è una storia socialista. È una Storia in cui la tenerezza si insinua tra le pieghe della memoria ma non ha esitazioni a parlar chiaro nel presente. Che fa luce e dissipa tra storia e realtà e soffre, e soffrendo cresce e infine scopre che la bandiera della pirateria può sventolare sulle aste di poppa delle navi più ardite e che quelle navi possono farsi miniera, officina, fucina e campo.

Le tavole di Quarello restituiscono fotogrammi dinamici che si alternano a momenti narrativi statici, quasi didascalici che, di nuovo, lasciano il passo a ritratti che sono come figurine nelle mani di un bambino: il Tatuato, eccolo, ce l’ho, Salsiccia, no… è questo? Mi manca. Una galleria di racconti personali e intensi, minuziosi e profondi con cambi di prospettiva repentini che danzano col testo come in balia delle onde e mai scivolano, e se scivolano s’aggrappano con una virata decisa alla Speranza.

Mio padre il grande pirata di Quarello, Calì - 2013 Orecchio acerbo
Mio padre il grande pirata di Quarello, Calì – 2013 Orecchio acerbo

151_Padre_pirataTitolo: Mio padre il grande pirata
Autori: Davide Calì, Maurizio A.C. Quarello
Editore: Orecchio acerbo
Dati: 2013, 48 pp., 16,00 €

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Emma. Dove vanno i fiori durante l’inverno?

A scavare nella neve con le mani c’è che bisogna togliersi i guanti. Con le moffole è difficile: la neve si appiccica alla lana e si passa più tempo a sbatacchiarle per toglierla che a scavare. A scavare nella neve con le mani per vedere cosa ci sia sotto, c’è che bisogna farlo a mani nude. Quando si giunge al tesoro i polpastrelli sono ghiacciati e le mani rosse e bagnate, ma… ma non ci sono molte cose che profumano come gli aghi di pino un po’ secchi un po’ umidi, misti alle foglie, alla terra soffice, all’erba rada, non più verde, bruna. Quindi vale. Vale la pena.

Emma. Dove vanno i fiori durante l'inverno?, di Spider - 2016, Orecchio acerbo
Emma. Dove vanno i fiori durante l’inverno?, di Spider – 2016, Orecchio acerbo

Da bambina scavavo nella neve, per sentire quel profumo e perché speravo, sempre, di trovare qualche fiore sul punto di sbocciare. Non ne ho mai trovati quindi non so dire cosa avrei fatto: coglierlo e mostrarlo, lasciarlo lì godendomi da sola tutta la meraviglia? Conoscendo la me stessa di allora probabilmente avrei passato molto tempo a decidermi. E, conoscendomi, non so cosa avrei fatto.

Emma. Dove vanno i fiori durante l'inverno?, di Spider - 2016, Orecchio acerbo
Emma. Dove vanno i fiori durante l’inverno?, di Spider – 2016, Orecchio acerbo

Emma è sfuggita alle mie ricerche bambine, ma so per certo che se avessi avuto la possibilità di leggere un albo così, questo albo, all’epoca in cui non mi curavo della pelle screpolata e, anzi, mi sembrava un dazio insignificante da rendere, non me ne sarei mai separata.

Di Emma conservo gelosamente la prima edizione, quella in cui Orecchio acerbo inseriva il bugiardino; Spider nel 2008 ne disegnò tavole e testo. L’armonia è vibrante, tutte le pagine percorse da brividi, cristalli di neve, brillantezza di ghiaccio. Sono immagini in movimento, che danzano sul lago ghiacciato e si rincorrono come in una Silly Symphony, un cortometraggio animato che in inverno conserva il profumo dell’estate.

Emma. Dove vanno i fiori durante l'inverno?, di Spider - 2016, Orecchio acerbo
Emma. Dove vanno i fiori durante l’inverno?, di Spider – 2016, Orecchio acerbo

Emma è un fiore e regola la sua esistenza con l’aiuto di una sveglia. Affida a un congegno meccanico il proprio ritmo biologico. Va tutto bene, fino a quando la precisione meccanica fa cilecca ed Emma si risveglia in pieno inverno. Giusto in tempo per incontrare i suoi amici Lampo, Grugno e un ragno orologiaio. E per raccontare a noi che leggiamo una storia splendida, da regalare, assolutamente, a Natale.

218-emma-n-eTitolo: Emma. Dove vanno i fiori durante l’inverno?
Autore: Spider
Editore: Orecchio Acerbo
Dati: 2016, 36 pp., 11,50 €

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Maturare verso l’infanzia

Il pavimento è color cannella; il pavimento della bottega di Jakob; bottega di stoffe, luogo di cambiamenti e buffe metamorfosi. Jakob è il padre di Bruno, e Bruno è Bruno Schulz, giornalista, scrittore, ebreo.

I nostri, i miei, sono gli anni della continua ricerca del restare sempre sé stessi, per distinguersi, emergere. Avere una propria forte identità, riconoscibile soprattutto, che ci renda unici; una identità che ci protegga. Fino all’irritarci, al renderci insofferenti verso quella stessa unicità che abbiamo ricercato e che ci rende sempre uguali, imprigionati nelle nostro crescere, divenire adulti. Incapaci di rinnovarci, di mostrarci candidi, di riscoprirci ingenui, di salvarci plasmandoci, cambiando.

Per questa ragione, quando nel bel mezzo dell’albo mi imbatto in questa frase, trasalgo: “Jakob si mischiava e si impastava con il mondo per guardare tutto con occhi nuovi e diventare ogni volta un po’ meno se stesso”. Si tratta di un padre dalle “instancabili gesta”, dalle continue metamorfosi, capace di cogliere la vita nella materia e adattarla a sé stesso. Si mischiava e impastava e Bruno anelava a imitarlo ma un’imbarazzante testa grossa lo frenava: gli rendeva difficile l’idea di riuscire a librarsi in volo come un rapace, o tenersi in equilibrio a testa in giù come un ragno, soprattutto a sfuggire alla scopa della governante Adela che, sempre, presa alla sprovvista dai cambiamenti di forma di papà Jakob, cercava di scacciarlo ramazzando.

Ofra Amit, Nadia Terranova, Bruno, il bambino che imparò a volare. Orecchio acerbo
Ofra Amit, Nadia Terranova, Bruno, il bambino che imparò a volare. Orecchio acerbo

Quando Jakob sparì per non fare più ritorno, perso in una delle sue mutazioni, pensava Bruno,  il bambino sfogò l’amarezza della solitudine e della mancanza nel disegno: incise e disegnò per non dimenticare, per conservare, per non restare imprigionato in sé stesso, nella propria timidezza, nella propria malinconia. “Essendo cresciuto con una testa abnorme, Bruno conosceva le parole giuste per trasformare la diversità in opportunità”. E cercò di insegnarle anche agli altri.

Con lo stesso intento, immagino Bruno alle prese con la realizzazione degli affreschi (illustrazioni delle fiabe dei fratelli Grimm) per i figli del “suo” nazista, quello che lo proteggeva, schiavizzandolo, per sfruttarne il talento e la grazia.

La diversità di Bruno non lo salvò. Alla sparizione del padre ne seguirono altre, e con una velocità fulminea si attuò il feroce piano di annullamento: tutti gli ebrei, a prescindere se ordinari, straordinari, strambi o col testone, furono perseguitati. Gli ebrei come i rom e sinti, i malati di mente, i testimoni di Geova, gli omosessuali, gli oppositori politici. Tutti umiliati, straziati, trucidati; alla stessa maniera eliminati, resi uguali l’uno all’altro dall’orrore del nazismo. Tutti, anche Bruno, ucciso per strada in una giornata d’autunno del 1942 da un ufficiale alla ricerca di vendetta giacché il nazista di Bruno aveva ucciso il “suo” ebreo. Bruno non esiste più, e i suoi scritti, i suoi disegni sono cancellati e dispersi dal tempo.

Poi anche i nazisti pagheranno il loro appiattirsi in un’unica atroce immagine. Gli stralci di umanità sopravvissuta si muoveranno, si allontaneranno e fuggiranno dai luoghi dell’orrore. Uno scampolo di famiglia entrerà in una bottega impolverata dal pavimento color cannella e ne esplorerà gli spazi, per renderli propri, rifugio e casa. Su quel pavimento una mano bambina alla ricerca di cose utili ne scoprirà di preziose e uniche: i disegni e gli scritti di Bruno.

Ofra Amit, Nadia Terranova, Bruno, il bambino che imparò a volare. Orecchio acerbo
Ofra Amit, Nadia Terranova, Bruno, il bambino che imparò a volare. Orecchio acerbo

Oggi di lui ci sono rimasti articoli, disegni, saggi, racconti e due romanzi: Le botteghe color cannella e Il sanatorio, all’insegna della clessidra. Un terzo, Il messia, definito il suo capolavoro, è andato perduto. E chissà che non sia in volo, tra gli artigli di un rapace variopinto che, nonostante una grossa e sproporzionata testa, vola leggiadro alla ricerca di un cantuccio polveroso di soffitta, uno scaffale di bottega per posarsi.

Bruno, il bambino che imparò a volare è una storia di Nadia Terranova, illustrata da Ofra Amit con immagini ampie e ariose che ben suggeriscono lo spazio, la libertà e il largo respiro cui Bruno in un modo o nell’altro anelava. Le parole, ognuna di esse, ci accompagnano e preparano al volo. Le piume rosse, perse da Jakob o da Bruno?, segnano il rincorrersi degli eventi, placide s’adagiano sulle pagine come se lo facessero sul tempo, a testimoniare la vita, così come un’attitudine. E come piume rosse, le parole lievi e dense di Nadia Terranova s’adagiano nella memoria di chi legge e in essa trovano, senza dubbio, spazio e tempo.

“Fredda serata di fine autunno. Bruno Schulz è ancora bambino. La madre entra in camera sua e lo trova intento a nutrire alcune mosche con granelli di zucchero. Stupita, gli domanda cosa mai stia facendo. “Le sto irrobustendo per l’inverno.” Vero o falso l’aneddoto raccolto da David Grossman, di certo quel bambino non poteva immaginare che da lì a pochi anni non l’epoca geniale da lui sognata sarebbe sorta, ma una delle più buie dell’umanità. Un lungo inverno nel quale, come mosche, sarebbero morte milioni di persone” (Paolo Cesari)

bruno_cover1Titolo: Bruno, il bambino che imparò a volare
Autori: Nadia Terranova, Ofra Amit
Editore: Orecchio acerbo
Dati: 2012, 40 pp.

Lo trovi sugli scaffali del Giardino Incartato

Effetto starnuto

Jim Flora - Il giorno in cui la mucca starnutì - Orecchio acerbo

jim-flora-il-giorno-in-cui-la-mucca-starnutc3ac1Quando ti ritrovi tra le mani un libro che hai cercato e desiderato a lungo a soli 16,00 euro e tradotto nella tua lingua realizzi quanto possano essere competenti e raffinate le scelte di una casa editrice per ragazzi quando in mente si ha un’idea chiara di quello che è, e può essere, un albo illustrato. E questi editori hanno l’occhio lungo oltre che l’orecchio acerbo, giacché James Flora, di cui il capolavoro in oggetto Il giorno in cui la mucca starnutì risale al 1957, è uno dei più grandi artisti, oltreché illustratori, che il secolo scorso abbia conosciuto. Mi ripeto, che sia disponibile in libreria è un’emozione.

Per questo ho pensato di proporvi di seguito alcune delle sue copertine realizzate per dischi jazz, tributo a Jim Flora ma anche una ghiotta occasione per creare una connessione con un evento che senza guida (chissà quale battito di ali di farfalla l’ha creato!) si è imposto parallelamente alla mia lettura di questo libro nel mio personale immaginario: il Mardi Gras di New Orleans, sebbene ci vorrà febbraio perché arrivi.jim-flora-il-giorno-in-cui-la-mucca-starnut3

Il giorno in cui la mucca starnutì è un esempio di cosa possa succedere nel momento in cui si disattende a un proprio compito, o dovere (una morale, la si definirebbe, se non fosse proposta con così abbondanti sorrisi). Un pastorello di nome Fletcher dimentica la mucca Floss con i piedi ammollo nel ruscello per correre dietro a un coniglio col risultato che la povera mucca si prende un bel raffreddore. E non c’è nemmeno il tempo di dirle “salute!” dopo lo starnuto diretta conseguenza di quella infreddatura, giacché, allo stesso modo della famosa ed esplicativa locuzione secondo cui il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo, una catena di eventi prende il suo rocambolesco via! E il topo investito dallo starnuto viene scorto dal gatto che, mancandolo, artiglia la schiena di un capretto, che spaventato scappa in cortile investendo uomini e animali e atterrando sulla motocicletta del postino prende la via del villaggio… Ecco, teoria a parte, il caos che consegue allo starnuto di Moss è tanto e le conseguenze pure. Le seguiamo passo passo. Grazie alle illustrazioni.

Jim Flora - Il giorno in cui la mucca starnutì - Orecchio acerbo
Jim Flora – Il giorno in cui la mucca starnutì – Orecchio acerbo

Vibranti, come se conservassero traccia di trombe e fagotti che fanno jazz. Ardite come certi arpeggi al violino. Rutilanti come i tamburi e i piatti e dense, dense di movimento, danza, ritmo. Incalzanti direi per il ritmo. Immagini fatte di solo nero, verde, rosa e arancio bruno letteralmente si inseguono e risentono fino alla fine del movimento d’aria cui ha dato luogo lo starnuto di Moss.

Jim Flora - Il giorno in cui la mucca starnutì - Orecchio acerbo
Jim Flora – Il giorno in cui la mucca starnutì – Orecchio acerbo

Una lineare confusione che si muove da sinistra verso destra. Tutti quanti i coinvolti, sebbene loro malgrado, reagiscono con stupore a quanto li vede protagonisti. Ma anche astanti celebri, quali il sole, sono stupefatti a veder turbato l’ordine ciclico e le forme usuali cui sono abituati, giacché a dir poco surreal-pop sono la piovra coi tentacoli arricciati, il leone spiegazzato e l’elefante spianato.

Un gioiello vintage che consigliamo a tutti.

Jim Flora - Il giorno in cui la mucca starnutì - Orecchio acerbo
Jim Flora – Il giorno in cui la mucca starnutì – Orecchio acerbo


“I found it very difficult at first to write a book because I had been trained to see an idea, not write about it. Facing a blank sheet of paper and writing a story was something I found I could not do. So I devised a new way to write my story. During the day I would think about the book. I would see it in pictures in my head. At night, as I lay waiting for sleep, I would run the story through my head like an animated cartoon one sees in theaters and on television. When finally the complete story was arranged in my head I drew a seres of pictures of what I saw there. In films they call this ‘making a storyboard.’ With this storyboard at hand all I had to do was describe what was taking place in the drawings. That’s how I wrote my first book and all of the sixteen others that followed.” [James Flora, 1988].

muccaTitolo: Il giorno in cui la mucca starnutì
Autore: James Flora
Editore: Orecchio acerbo
Dati: 2011, 44 pp., 16,00 €

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Pinocchio prima di Pinocchio. E dopo?

È una Genesi laica, di legno e colori immensi quella che ha illustrato Alessandro Sanna, quella di Pinocchio.

All’inizio fu un magma primordiale dal quale si staccò un pezzetto ribelle di luce, probabilmente stanco di brillare nell’universo sconfinato. Velocissimo, e come ben deciso a farlo, atterra in un’esplosione bianca. Queste esplosioni di norma generano distruzioni; di norma. Ma questo pezzetto ribelle di universo no, questo ha seguito la lezione di Munari e genera un albero: da un tronco due diramazioni e da ciascuna altre due, fino a diventare sufficientemente ampio da attirarsi le invidie del cielo che lo colpisce con un fulmine e ne stacca via un ramo.

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Pinocchio prima di Pinocchio, Alessandro Sanna – 2015, Orecchio acerbo

Quando lo vedo, lì dritto, impettito, stagliarsi nell’aurora, o nel tramonto, lo immagino pronto a mirabolanti avventure. E non mi sbaglio: parte a grandi balzi. Non conosce mezze misure. Sembra felice, ma non pare Pinocchio, non vedo il naso lungo che, così di profilo, certamente salterebbe agli occhi. D’altra parte, da come capitombola e si diverte, sembra proprio lui. Non so… io continuo a seguirlo, e con una certa trepidazione, perché il ragazzino di legno si sta fidando ciecamente di un gatto e di una volpe, silhouette nere nella neve bianca, e s’avvia a passo sicuro verso una folla di altri legnosi, verso un bosco, che dal tanto danzare s’infiammano.

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Pinocchio prima di Pinocchio, Alessandro Sanna – 2015, Orecchio acerbo

Scappa! Scappa! Verrebbe da dire, e lo dico, trepidante, specie quando appare un’enorme figura che ingoia tutto, mangia fuoco, fiamme, mangia gli alberi. Il ramo corre, si bagna, si fa ramoscello di pace nel becco di una colomba, incontra un grillo e un gufo e un serpente. Io sono andata oltre, fino alla fine, che è un chiaro inizio. Ma mentre non voglio svelarvi altro, qualcos’altro voglio chiedere all’autore.

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Pinocchio prima di Pinocchio, Alessandro Sanna – 2015, Orecchio acerbo

1. Alessandro, la scelta di raccontare senza parole è dovuta al voler universalizzare, lasciare fuori dallo spazio e dal tempo, il rapporto tra il mito e il lettore?
R: Le parole sono nell’immagine. Potrei anche dire che le parole lasciano il posto ai respiri interni ed esterni di ognuno di noi. Senza parole mi sembra d’esser più libero e la libertà di comunicazione è sempre una chimera che inseguo nei miei libri d’autore.

2. Io ho ritrovato tra le pagine alcune citazioni. La prima, sebbene adattata a tutt’altro contesto, è de “Il Signor Bastoncino” di Axel Scheffler, un’altra è de “Il Piccolo Principe”,  il serpente e l’elefante. Ce ne sono altre, o invece, anche queste due sono “solo” l’ottimo risultato del dialogo che le opere autoriali innescano tra loro?
R: Tutte queste sono assolutamente citazioni appropriate, ma ci sono anche rimandi alla storia dell’arte da Giacometti a Mark Rothko oppure ai mediavali Duccio e Cimabue. Forse anche il cinema d’animazione di silhouette di Lotte Reineger.
La verità è però che tutte le conoscenze implicite ed esplicite sono fuori dalla mia mano quando disegno. Il libro infatti è una metafora dell’essere artista, con il serpente che mangia tutti e poi sputa dal sedere e anche con il pescecane che mangia tutti e rimette al mondo dalla bocca tutti i personaggi. Tutti noi siamo digerenti medium che buttano fuori, da ogni orifizio possibile, il conosciuto e il vissuto.

3. La narrazione, come l’evoluzione, come la vita stessa, è ciclica: si parte da un punto per tornare a un altro molto simile ma del tutto diverso e quindi ripartire: dopo la storia Prima, c’è quella di Pinocchio. E dopo?
R: Dopo c’è un’altra vita. il libro si doveva chiamare “La vita prima della vita” e “La vita dopo la vita”. Pinocchio è venuto a smorzare i toni. Quello che voglio raccontare con questo libro è la fragilità del bambino e precisamente del bambino in condizioni di vita costretta. Mi riferisco alla vita in ospedale di bambini ammalati e purtroppo con poche speranze. Quei bambini li ho visti e incontrati e da lì è partito tutto.

4. Per concludere, ti voglio fare una domanda che qualcuno mi ha suggerito di porti, anche se non svelerò mai chi!, perché della tua risposta non si può far senza: Alessandro, ma come fai a fare disegni così belli?
R: Lavoro tantissimo. Così tanto che anche la mano penso abbia un suo cervello e spesso devo ascoltarla. Grazie!

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Titolo: Pinocchio prima di Pinocchio
Autore: Alessandro Sanna
Editore: Orecchio acerbo
Dati: 2015, 64 pp., 17,50 €

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Un gioco da ragazze

Un gioco da ragazze. Che poi sono tre, piccine per l’età, ragazze per l’intraprendenza fantastica. Due gemelle e la loro cugina in visita a casa della nonna, una volta d’autunno, un’altra d’estate. Arrivano che è mattina, per andar via che è sera, dopo esser state nella giungla, in barca ed essersi esibite in capriole spettacolari sulla pista di un circo.

Un gioco da ragazze, di Alessandra Lazzarin, 2020 Orecchio Acerbo
Un gioco da ragazze, di Alessandra Lazzarin, 2020 Orecchio Acerbo

In barca riesci ad andare se il vento è in poppa, riesci ad andarci perbene; e se le vele sono robuste. Bisogna fissarle e tenderle, ci vuole forza, organizzazione. Quelle perfette, che raccolgono tutti i soffi possibili per raggiungere mete lontane, la sera possono anche far da lenzuola, volendo. Basta un ‘oplà!’.

Un gioco da ragazze, di Alessandra Lazzarin, 2020 Orecchio Acerbo
Un gioco da ragazze, di Alessandra Lazzarin, 2020 Orecchio Acerbo

Gioca al gioco dell’immaginazione, Alessandra Lazzarin, e lo fa con un tratto delicato e tenue che si sposa bene con una palette di colori brillante e vivace.  Anche l’acquerello fa bene il suo in questa storia che mescola la fantasia con la realtà, valicandone i confini. Il colore pare agire audacemente, fino a quando non incontra il tratto della matita che lo contiene, dandogli corpo e forma. Proprio come avviene con le bambine, che nel raccogliere mucchi di foglie secche, in autunno, valicano il confine del cortile di casa della nonna per ritrovarsi in un bosco del quale si percepisce l’incanto non tanto per il proliferare di animali selvatici, ma nello sguardo delle tre, che quegli animali selvatici leggono docili.

Un gioco da ragazze, di Alessandra Lazzarin, 2020 Orecchio Acerbo
Un gioco da ragazze, di Alessandra Lazzarin, 2020 Orecchio Acerbo

Scene quotidiane che divengono vividi scenari immaginari e un’ultima che chiude la narrazione, nella quale eravamo entrati con una capriola, mescolando i due piani.

Un gioco da ragazze, di Alessandra Lazzarin, 2020 Orecchio Acerbo
Un gioco da ragazze, di Alessandra Lazzarin, 2020 Orecchio Acerbo

La vena narrativa delle giornate trascorse a casa coi nonni è sempre feconda, Alessandra Lazzarin l’aveva già esplorata con il suo lavoro d’esordio “Grilli e rane“, illustrando le mie parole di avventura, tempo libero di trascorrere senza intralci, libertà. Mi pare di scorgere in “Un gioco da ragazze” gli stessi occhi felici.


cop_un_gioco_da_ragazzeUn gioco da ragazze, di Alessandra Lazzarin, 2020 Orecchio Acerbo

 

 

 

 

Papà. Cuore, memoria, distanza

Cuori di papà che si colgono mano nella mano, sguardo contro sguardo (o sguardo nello sguardo), in risate grasse, porte sbattute con fracasso, abbracci frettolosi e premure indimenticabili. In assenze imperdonabili, nella fragilità che si fa coraggio inarrestabile, nelle disillusioni amare e in dolcissime conferme.

Else-Marie e i suoi sette piccoli papà, di Pija Lindenbaum, 2018 Il Barbagianni
Il nostro albero, di Mal Peet, illustrazioni di Emma Shoard, 2019 Uovonero
Giorno di neve, di Komako Sakaï, 2007 Babalibri

Voci nel parco, Anthony Browne – 2017, Camelozampa
Mio padre il grande pirata di Quarello, Calì – 2013 Orecchio acerbo
I figli del mastro vetraio, di Maria Gripe, illustrazione di Harald Gripe

Come in un film, di Maite Carranza, 2019 Il Castoro
Il bambino che partì per il Nord alla ricerca di Babbo Natale, di Kim Leine, Peter Bay Alexandersen, 2019 Iperborea
Rompi il porcellino, di Etgar Keret, David Polonsky, 2017 Feltrinelli

Museum

Il libro (Da un soggetto di un maestro dell’albo illustrato, Javier Sáez-Castán, illustrato da Manuel Marsol, da poco insignito del Premio Internazionale di Illustrazione alla Fiera del Libro di Bologna.) si apre senza proferire alcuna parola, in realtà strada facendo, e si incomincia proprio nell’abitacolo di una macchina con una lunga strada davanti da percorrere, sotto la guida preponderante dello sguardo, una voce piuttosto ferma si alza dalle targhette, che in questo caso, essendo parte integrante delle opere d’arte esposte, definirei cartellini.

Museum, di Javier Sáez-Castán e Manuel Marsol - 2019, Orecchio acerbo
Museum, di Javier Sáez-Castán e Manuel Marsol – 2019, Orecchio acerbo


Mi colpisce in copertina uno sguardo che già sembra volgersi al passato, alla strada percorsa (o a me che leggo?) nel riflesso nello specchietto retrovisore; si procede con le targhette che si fanno rilevanti all’interno del testo narrativo, incominciando proprio dal titolo in copertina che è esso stesso il principio della narrazione, il titolo dell’opera e un’indicazione della linea, o perlomeno una di esse, di lettura.MUSEUM cover.jpg

Non è ben chiaro se fosse nelle intenzioni dell’uomo alla guida dell’auto rossa, del furgoncino rosso, andare a visitare il museo o meno. La struttura che lo ospita sembra essere proprio la sua meta, ma in realtà è il furgoncino che si rompe a imporre la fermata proprio davanti al suo vialetto d’ingresso, sebbene la strada fino alla porta sembri essere praticata molto di rado, sia fitta di erba e a malapena se ne scorga il profilo. Ciononostante è l’unica traccia di urbanità nel raggio di molti chilometri, per cui, dandosi un’aggiustatina al cappello, L’uomo si incammina. S’avvia a far parte.

Museum, di Javier Sáez-Castán e Manuel Marsol - 2019, Orecchio acerbo
Museum, di Javier Sáez-Castán e Manuel Marsol – 2019, Orecchio acerbo

Giunto davanti al portone il punto d’osservazione si fa chiaro. Dalla finestra, in un gioco prospettico che richiama gli studi sulle profondità e sulla prospettiva lineare quattrocenteschi, dal riquadro della pagina si entra nella cornice della finestra, dalla quale si scorge un quadro, che dietro alle cortine di una tenda svela una signora vestita di rosso, che appoggia le sue mani su una gabbia che contiene un pappagallo. Si tratta di Chaty con pappagallo. Chaty sorride, il pappagallo meno.

Museum, di Javier Sáez-Castán e Manuel Marsol - 2019, Orecchio acerbo
Museum, di Javier Sáez-Castán e Manuel Marsol – 2019, Orecchio acerbo

Fortunatamente il museo è aperto. La porta ha uno spioncino che pare disegnato, oppure tradisce la presenza di qualcuno all’interno, un qualcuno dagli occhi cerulei. Sull’architrave campeggia una linea orizzontale di occhi, e ancora c’è un occhio che è come se stesse spiando dall’interno verso l’esterno dal buco della serratura. Una volta entrati si comprende quanto non fosse una semplice casualità, si comprende che gli occhi intravisti dagli spiragli, dagli spioncini riflettevano il cielo azzurro, riflettevano, rappresentandolo, ciò che guardavano.

Museum, di Javier Sáez-Castán e Manuel Marsol - 2019, Orecchio acerbo
Museum, di Javier Sáez-Castán e Manuel Marsol – 2019, Orecchio acerbo

Lo avevamo intuito, dal tratto che richiamava fortemente Magritte, che saremmo entrati in un luogo surreale e che avremmo letto di surrealtà. Infatti, i quadri alle pareti immergono l’uomo in un contesto fatto di presente, passato eventi di vita vissuta, che si fanno via via esperienza e quindi ancora rappresentazione e poi presente, vissuto.

Museum, di Javier Sáez-Castán e Manuel Marsol - 2019, Orecchio acerbo
Museum, di Javier Sáez-Castán e Manuel Marsol – 2019, Orecchio acerbo

Dal quadro esce il pappagallo, che entra in collisione con la realtà presente dell’uomo che lo guardava rappresentato, mentre nei quadri entra il camioncino rosso. Riconoscendolo, l’uomo ne è sconvolto; comprende in un solo frangente quello che noi sospettavamo: la sua esistenza si sta mescolando all’astrazione di quella appesa ai muri, i cartellini lo sottolineano ed esplicitano: la sua esistenza sta diventando rappresentazione e il processo è valido anche nel senso inverso, per cui, le rappresentazioni stanno diventando realtà. Gli occhi sbarrati raccontano la presa di coscienza, fatta da sguardi che rilevano che non ci sono solo essere innocui ritratti nei quadri appesi alle pareti ma anche occhi sbarrati dal terrore, bestie spolpate delle quali rimangono solo dei teschi adornati di fiori e una tigre feroce, che perlomeno è stata rappresentata così. Una tigre guardiana.

Museum, di Javier Sáez-Castán e Manuel Marsol - 2019, Orecchio acerbo
Museum, di Javier Sáez-Castán e Manuel Marsol – 2019, Orecchio acerbo

L’uomo cerca una via di fuga, ma senza alcuna spiegazione o prevedibilmente, il museo ora è chiuso. L’unica sua via d’uscita, l’unica sua salvezza, è di riuscire a interagire scientemente con il presente che gli si rappresenta davanti ed essere quindi artefice lui stesso dei dipinti futuri.

Le illustrazioni di Manuel Marsol sono dipinte su legno, il che conferisce loro una consistenza densa e porosa, che assorbe e restituisce i colori proprio come assorbono e restituiscono i quadri che esse raccontano.

Il finale è sorprendente. Due volte sorprendente. Anzi, se si aggiunge la quarta di copertina, il finale è 3 volte sorprendente.

MUSEUM coverTitolo: Museum
Autore: Javier Sáez-Castán, Manuel Marsol
Editore: Orecchio acerbo
Dati: 2019, 52 pp., 14,00 €