È un’angoscia incalzante quella che accompagna la lettura de Il Nido; angoscia che va ad agire sulle paure, che smuove le insicurezze, che insinua dubbi pericolosi e stranianti.
Ricorda Skellig di Almond in tanti dettagli, quelli che sono i pilastri della storia: un fratello neonato malato gravemente e in pericolo di vita, la solitudine del figlio maggiore costretto a fronteggiare preoccupazioni adulte, l’incontro con un essere umano dalle sembianze sovrannaturali/mostruose… Nonostante giochi su questi splendidi rimandi, Il nido rimane storia unica, ben costruita, ben narrata, ben tradotta. Soprattutto dalla notevole intensità narrativa.
Il nido, di Kenneth Oppel, Jon Klassen – Rizzoli 2016
Il nido, di Kenneth Oppel, Jon Klassen – Rizzoli 2016
Steve ha un fratello e una sorella più piccoli, dodici anni, e da molti fronteggia incubi e ipersensibilità agli eventi. Con la nascita del fratellino Theo, dalla fragilissima salute, e con la conseguente dedizione dei due genitori nei suo confronti, Steve, che sembrava aver recuperato un po’ di serenità, ripiomba nel disagio e negli incubi. Al suo capezzale si palesa spesso un uomo che lo terrorizza con la sua presenza minacciosa. Stevo lo teme, sebbene saranno altri, o meglio altre, gli incubi da cui dovrà proteggersi e contro cui dovrà combattere: vespe. Esse, con una leggerezza che blandisce perché fa leva sui punti deboli del ragazzo, lo manipolano; con un ronzio incessante che lo tormenta gli suggeriscono di liberarsi del fratellino malato che tanto condiziona la vita di tutta la famiglia, sostituendolo con un altro, identico, ma sano e bellissimo (ma soprattutto un altro), da loro espressamente creato in un grande nido. Basta che Steve dica “Sì”. E Steve, cede, lo dice.
Osservare Nicole col piccolo mi faceva sempre sentire cattivo. Perché quando io lo guardavo, vedevo tutte le cose che ci dicevano non andassero in lui; e poi vedevo la mamma, stanca e preoccupata; e vedevo il papà, che guardava fuori dalla finestra, a volte in lontananza, altre verso il nostro vialetto, dove c’era la sua macchina.
Steve cerca di resistere ai propri incubi ma le vespe sono reali e sono anche vespe mai viste prima d’ora.
La prima volta che le ho viste, ho creduto che fossero angeli. Cos’altro potevano essere, con quelle loro ali chiare, leggere e sottili come garze, e la luce che le ammantava?
Il loro nido, quello che tutti possono vedere, sta in soffitta e Steve è persino allergico alle loro punture. Nonostante ciò saprà fronteggiarle, saprà scegliere, salvare salvandosi. Anche grazie all’intervento di un amico che non sembrerebbe tale. Perché in questo romanzo gotico poco è quel che sembra, e a un certo punto, andando verso la chiusura anche la storia sembra essere senza speranza. Io stessa sono stata tentata di sospendere la lettura per paura di non poter percorrere quel sentiero di disperazione, per paura di quella che poteva essere la sua conclusione. Ma, per fortuna ho letto fino alla fine.
E ho scoperto un romanzo denso, intenso, senza fronzoli.
In mezzo alla narrazione Steve, confidandosi con la baby sitter del fratello e della sorellina definisce Theo “Mal messo” e se stesso “guasto”. Pensa che talvolta essere quel che si è non va bene, alle persone non piace e allora si rende necessaria la danza della finzione, che costa sforzo, che indebolisce e che è inutile, perché
anche quelle altre persone, tutte quante, erano guaste a modo loro. Forse passiamo tutti quanti troppo tempo a fingere che non lo siamo.
Quando la finzione si interrompe allora avvengono delle svolte dolorose e bellissime, capaci di renderci eroici, di infonderci del coraggio di cui non eravamo nemmeno a conoscenza, di liberarci.
Le illustrazioni giocano con l’angoscia, con il realismo magico, lo fanno in bianco e nero e sono di Jon Klassen, che con la resa delle fragilità umane è maestro.
Titolo: Il nido
Autore: Kenneth Oppel, Jon Klassen
Traduzione: Giordano Aterini
Editore: Rizzoli
Dati: 2016, 252 pp. 16,00 €
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