Dai primi di aprile la fiaba de La bella e la bestia può annoverare tra le sue fila un’altra, bellissima, variante. Le radici del cespuglio di rose i cui petali restano tra gli elementi più fermi nella memoria di ciascuno la ascolti, affondano nella storia di Amore e Psiche, cui si ispirò Madame Gabrielle-Suzanne Barbot de Villeneuve, che nel 1740 la pubblicò per la prima volta in La jeune américaine, et les contes marins.

Naturalmente nel momento in cui ho letto Bella e il Gorilla la prima cosa che ho notato è stato il gorilla. Il suo bel muso grigio, il nasone espressivo quasi quanto gli occhi ambrati o proprio grazie ad essi. Anthony Browne ci ha abituati alla sua umana presenza, seppure questa volta il Gorilla sia propriamente tale. Non indossa giacconi, tacchi, non si protegge con un ombrello. La storia è ambientata in uno zoo ed è vera.
Quindi la prima cosa è stato il gorilla. Ma Bella e la Bestia erano sempre tra le pieghe della lettura di questa che invece, dicevo, è una storia vera. Quasi del tutto vera. È il racconto di un’amicizia nata tra un gorilla in grado di parlare la lingua dei segni e una gattina. Grazie alla sua capacità di parlare con gli uomini e di farsi comprendere, il Gorilla poteva avere tutto, qualsiasi cosa desiderasse. Una cosa gli mancava: un amico. Allora, così come nella storia vera di Koko, la gorilla che amava i gatti, lo chiede ai suoi custodi e loro gli portano Bella.
“Non mangiartela!”
Ma il Gorilla non aveva nessuna intenzione di mangiarla, le voleva bene.
Anthony Browne ci ha abituati a citazioni, rimandi. In questa occasione ne dedica uno esplicito a Landscape with the Fall of Icarus, attribuito a Pieter Bruegel il vecchio (ca. 1555), il quadro racconta della caduta di Icaro, che troppo aveva osato avvicinarsi al sole. William Carlos Williams lo descrive così
Non lontano
dalla costa
c’era
un tuffo del tutto ignorato
era
Icaro che annegava.
(da “Immagini da Bruegel e altre poesie”, 1962)

Anthony Brown lo appende alla carta da parati del soggiorno mentre il Gorilla, con Bella sulle spalle, sta volando appeso a un lampadario. Pensando a Icaro, temo una hýbris che però non colgo nella specifica scena: penso piuttosto a un richiamo alle abitudini selvagge del gorilla, a una memoria mai sopita del suo istinto e delle sue capacità animali. Volteggiando tra quelle selve intricate e fiorite di carta da parati temo che il contatto con Icaro stia nella caduta, nell’aver corso un rischio troppo grande, di aver sopravvalutato le proprie capacità. Ho paura, quindi, che cadano, che Bella possa farsi male.
Ma no, non accade. Anzi,
furono felici per moltissimo tempo.

Poi una sera come tante, e qui si ritorna alla fiaba, il Gorilla guarda la scena di un film alla tv e ciò che vede lo scuote, lo agita. Non riesce a sopportare l’idea che un gorilla, come ciò che lui stesso è, possa mettere in pericolo un essere amatissimo, nonostante l’unica cosa che desideri su tutto sia di proteggerlo. E allora cede all’istinto “da bestia” e rompe la tv. E Bella, che gli vuole altrettanto bene e non desidera altro che proteggerlo, lo fa con grazia e mostrando i muscoli che non ha.

La storia si apre con una rosa bianca, e poi con una rosa rosa. A ciascuna di loro una pagina distinta, entrambe appena sotto i loro nomi, Bella e il Gorilla. E poi si chiude con due rose, quella del gorilla e quella di Bella, finalmente, per sempre, assieme.
Titolo: Bella e il Gorilla
Autore: Anthony Browne (traduzione Sara Saorin)
Editore: Camelozampa
Dati: 2019, 36 pp., 13,00 €