Rebecca Stead ha una qualità che avevo apprezzato anche leggendo Segreti e bugie: riesce a mettersi in un angolino con il suo bagaglio di esperienza e di adulto, e osservare i ragazzi, non vista. Senza intervenire mai, senza mettere in guardia, senza porsi mai in maniera giudicante.
E queste sono qualità che si apprezzano specie quando si applicano anche alla narrazione, che è limpida, non interventista, appunto, che riesce a comunicare tutta la complessità dei rapporti tra ragazzi dodici/tredicenni, tutto l’impasto ingarbugliato di passioni, paure, sentimenti. Rebecca Stead li mette sulla pagina così come sono, o sarebbero, se li si osservasse da un angolino, non visti.

Bridge è sopravvissuta a un incidente stradale gravissimo: andava sui pattini quando è stata investita. Ricorda poco e niente di quel momento ma un’infermiera, durante la lunga degenza che l’ha tenuta lontana da scuola per un anno intero, le confida che se è sopravvissuta a quell’incidente terribile è perché la sua esistenza ha uno scopo.
Bridge è inquieta, talvolta, per questo suo “scopo”, altre volte vi si aggrappa, specie quando si sfilacciano, e poi si ricuciono e poi cambiano ancora, i rapporti di fiducia e amore con le sue due amiche di sempre, Tab ed Emily, che ha ritrovato come se nulla fosse cambiato durante la sua assenza e con le quali ha stretto un patto: non litigare mai. Eppure qualcosa è successo e non è solo l’incidente, si tratta anche del naturale processo di crescita che giocoforza interviene a limare, ammorbidendo, o ad appuntire, esacerbando.
Bridge, conosce poi un ragazzo, Sherm, al quale è affidata una narrazione parallela, dal proprio punto di vista, parlata per mezzo delle lettere scritte, e mai spedite, al nonno che li ha abbandonati per cambiare vita. Con lui, amatissimo, Sherm aveva un rapporto di intimità equilibrata e bella. Ora che non c’è più, che ha lasciato dietro di sé la sua vita com’era e una scia di dolore in chi è rimasto, gli rivolge con la stessa schiettezza dell’affetto domande complesse e dal senso profondo che pone a lui, come a se stesso.
Ma la mia domanda è: lo sconosciuto è il nuovo te, o la persona che ti sei lasciato alle spalle?
C’è una ragazza che parla in seconda persona, a San Valentino, che si percepisce, che è, più matura rispetto alle altre. Il cui essere “più grande” implica un altro tono, una prospettiva diversa, con tanti substrati. E infine c’è un ragazzo, Patrick, che entra in questa complessità quotidiana e narrativa con un cellulare, un amore acerbo e delle foto intime che finiscono nella rete del pubblico, utili allo sguardo crudele e superficiale di tutti.
Un romanzo che definirei composto da veli su altri veli, come una cipolla. Si sfoglia, strato dopo strato, fino a un nucleo profumato e pungente, intensissimo.
Titolo: L’amore sconosciuto
Autore: Rebecca Stead, (Traduzione Claudia Valentini)
Editore: Terre di mezzo
Dati: 2019, 313 pp., 14,90 €