Anthony Browne racconta storie che sempre si dipanano sul sentiero dell’irrequietezza, giocando coi toni, col timbro delle voci, con la luce e la sua assenza. Tra queste pagine i passi di mamma e bambino sembrano risuonare nel buio già pesto della sera, si percepisce lo scricchiolio delle suole sul marciapiedi di questa che si intuisce una periferia cittadina. Si cerca l’indirizzo giusto, quello che aprirebbe le porte a una festa ma si incappa in spaccati di vita, si sbircia in momenti privati, velocemente, solo per rendersi conto se si è nel posto giusto o meno, ma in tempo per veder concretizzare oltre ogni finestra una delle decine di ipotesi catastrofiche che sgomitano nella mente del bambino: E se…?

Joe è preoccupato, labbra serrate, capo un po’ chino, rigido, come se risentisse della pressione che le mani stanno operando sul pacchetto regalo, strette. Il piede destro pronto a partire ma non del tutto staccato da terra, esita. Joe vorrebbe andare alla festa cui è stato invitato, ma è preoccupato, e la sua preoccupazione si fa ombra talmente ingombrante da superare il margine dell’illustrazione, strisciare su tutta la pagina, fino al suo limite.

È il crepuscolo, ma l’albo si apre con molto colore. L’immagine di Joe ne è piena. Poi si passa all’ombra con tutti i dubbi che porta con sé: E se…?
E se alla festa ci fosse qualcuno di sconosciuto?, si chiede Joe; sarebbe il momento giusto per fare nuove amicizie, gli risponde, rassicurante, la madre. E Joe prontamente ribatte: “Non se sono TREMENDE!” E qui, in questo esatto momento, incomincia il gioco dell’alternanza campo lungo/campo corto nell’altra serie di ipotesi che accompagna quelle esplicite di Joe: sarà quella la casa di Tom?

Come fosse una macchina da presa lo sguardo, di Joe e di sua madre, si acuisce per passare dall’ipotesi del campo lungo, all’evidenza del campo corto. E sì, sono tremende le persone che lo sguardo inquadra: orecchie a punta, piccole antenne carnose e basi delle lampade munite di denti affilati; brutti cipigli e un’evidente tendenza a trascurare il proprio animale da compagnia dagli occhi tristissimi.

Alla preoccupazione di Joe sulla presenza di tante persone risponde un’elefantiaca e grigia solitudine. Mentre nella tavola successiva Anthony Browne, in un surrealismo parossistico, cita Lewis Carroll, come aveva esplicitamente già fatto in Willy The Dreamer, mettendo un sorridente Humpty Dumpty nel portauovo di una tavola male imbandita.
Si percepisce l’inquietudine del bambino nel momento in cui il suo sguardo incontra e raffigura un contesto da festa dell’orrore à la Bruegel. La prospettiva cambia invece quando la via d’accesso alla casa degli altri piuttosto che la finestra è la porta. Una porta che si apre, sorrisi che accolgono. L’ansia di Joe si dissipa e trasfonde nell’animo della madre che ritorna sui suoi passi in preda ai dubbi. Non sappiamo come abbia trascorso quelle ore di festa la mamma di Joe, quel che vediamo è un luminosissimo Joe, stavolta senza ombre a segnare il passo e l’allegria, sorridente, al suo ritorno.
Titolo: E SE…?
Autore: Anthony Browne (traduzione di Sara Saorin)
Editore: Camelozampa
Dati: 2020, 36 pp., 16,00 €