Che cosa ci vuole per fare un papà? Beh… troppo difficile spiegare tutti gli ingredienti di questa meravigliosa ricetta; se si vuol raccontarlo forse basterebbe un bell’albo quasi quadrato, un tratto essenziale ed elegante, e delle ricche parole ritmate. Parole ricche ma semplici, che acquisiscono ritmo proprio grazie alla loro semplicità.
P di papà – Isabel Minhós Martins e Bernardo Carvalho – Topipittori
Per fare la parola per “papà” ci vuole una “p”, quella di papà appunto, e poi la capacità di accompagnarsi ad altre parole, ogni giorno diverse, ogni ora utili al bisogno. Perché una parola come quella basterebbe di per sé ma anche le parole più belle s’adornano andando a braccetto con altre e allora ecco il “papà ombrello” nel caso dovesse piovere, il “papà letto” nel caso si volesse schiacciare un pisolino, il “papà segreto” se si volesse affidare i propri pensieri bambini a uno scrigno sicuro…
Scopro un modo nuovo di comunicare in questa fiaba incantevole e drammatica di Aimee Bender: dimentico la comunicazione verbale, ridotta ai minimi termini tra le pagine di questo libro, assaporo quella non verbale fatta di gesti, di immobilità, di postura e assenza e mi concentro sul gusto. Giacché sono le papille gustative di Rose a custodire una capacità straordinaria: quella di comprendere i sentimenti e le sensazioni degli altri per mezzo di ciò che cucinano. Lo scopre a nove anni, assaggiando la torta al limone preparata dalla madre: l’assaggia e sente solitudine, frustrazione, irrequietezza, ansia.
Parola dopo parola, assaggio dopo assaggio, la lettura de L’inconfondibile tristezza della torta al limone (Minimumfax, 2011) si fa intensa e cresce un’emozione mista di stupore e coinvolgimento. Rose è la protagonista di una fiaba, possiede una capacità senza dubbio magica, sovrannaturale, ma al contempo assolutamente reale giacché nasce in un contesto in cui la realtà è sempre in primo piano grazie ai dettagli che la Bender utilizza nel narrare i lavori di falegnameria della madre di Rose, così come per descrivere, per mezzo di Rose, le catene di produzione dei cibi o le macchine per prepararli.
Non è solo Rose ad avere una qualità magica. Come in tutte le fiabe che si rispettino la magia contribuisce ad amplificare la dimensione fiabesca del romanzo assottigliando i riferimenti al mondo reale quando si tratta del geniale fratello di Rose, ad esempio, che ha la capacità di confondersi (letteralmente) in un’immobilità innaturale e catatonica con l’ambiente in cui vive: scompare seminando sgomento e dolore. Ricorda in qualche modo il teatro barocco e le sue macchine “magiche” costruite ad arte per far scomparire gli attori, per farli ricomparire all’improvviso, inaspettatamente, magari cambiati, magari diversi. Solo che in quel contesto la magia ispirava sorrisi quando non grasse risate, qui il ragazzo non può sfuggire al suo “dono” e il risultato è drammatico, così come Rose, non può sfuggire al suo. E si ritorna alla fiaba, all’eroe che non può evitare di esserlo, che è vincolato a utilizzare le proprie capacità giacché sovrannaturali, indipendentemente dalla propria volontà. Però Rose può educare il suo “dono” e ci riesce in qualche modo dissimulando e poi con l’aiuto di George, l’unico amico del fratello, anch’esso geniale: George per mezzo di un taccuino e di applicazioni giornaliere dona a Rose la capacità di imbrigliare il suo “potere” riuscendo a farla concentrare su quello che in esso potrebbe esserci di reale e facendole prendere, per quanto possibile, le distanze dal lato magico/empatico. Rose si concentrerà sul rintracciare la provenienza dei cibi, il modo in cui sono stati coltivati, la filiera, come siano stati raccolti. Un metodo empirico contrapposto alla magia. Molto interessante anche per quello che il metodo implica a livello interpersonale e nei rapporti tra i personaggi.
L’inconfondibile tristezza della torta al limone è un romanzo intenso come non potrebbe essere diversamente considerata l’ambivalenza che arricchisce una narrazione già di per sé elegante.
Titolo: L’inconfondibile tristezza della torta al limone
È una storia d’altri tempi quella del Toro Ferdinando, che comincia dalle risguardie tutte illustrate in bianco e nero e prosegue, sempre col nero che si staglia sul bianco, proprio come un tempo, con il suo corredo di carretti a ruote trainate da cavalli, toreri con picche e alabarde e bimbi coi grembiali neri.
Comincia nel 1936, pochi mesi prima dell’inizio della guerra civile spagnola e continua fino ai nostri giorni, facendosi portatrice di un messaggio di pace esplicito e determinato.
La copertina rosso fuoco attrae come attrarrebbe un toro nella corrida, e la traduzione di Beatrice Masini segue il canto pacifista del Toro che ama il profumo dei fiori senza inciampi. Il toro Ferdinando è capace di una sensibilità che sfugge tra le maglie di animi umani troppo legati a interessi e prevaricazione; sfugge ma nel farlo sfiora e infatti urtò le corde di Franco, che ne proibì la diffusione finché fu in vita e urtò i nazisti, che lo misero al rogo nella Germania di Hitler. La storia del libro, prima che la storia nel libro, acquisì un grandissimo valore simbolico quando fu stampato e distribuito a tutti i bambini tedeschi come gesto di pace dalle forze alleate.
I due autori, Munro Leaf (1905-1976) e, per le illustrazioni, Robert Lawson (1892 – 1957), sono tra i più grandi della storia della letteratura e dell’illustrazione americana per l’infanzia; assieme, in questa storia senza tempo, celebrano con leggerezza la non violenza. E la leggerezza è deliziosa negli sguardi dei protagonisti: sbalorditi, stupefatti, distratti, all’erta. Il torello che quasi si ferma, distratto, nel momento in cui il suo sguardo incrocia una tartaruga; il bombo che par proprio dire “Ohibò” solo guardando rassegnato ciò che incombe. La leggerezza, e talvolta anche la perfezione, sta nei dettagli e questa storia ne è ricca.
Il toro Ferdinando nacque in Spagna assieme ad altri torelli che saltavano e giocavano tra loro prendendosi a testate. Ma lui no. Ferdinando amava piuttosto passare il proprio tempo sotto un albero ad annusare il profumo dei fiori. La sua natura di toro possente però non stenta a mostrarsi in muscoli e imponenza, nonostante Ferdinando non li eserciti come i suoi coetanei. Dall’alto della collinetta su cui sorge il suo albero preferito (un sughero sul quale germogliano grappoli di tappi da bottiglia) tutto guarda, placido e contento. Fino a quando non interviene il caso a sconvolgere la sua odorosa esistenza, e si mostra sotto forma di un bombo. Tra le ali di questo piccolo insetto e tra i petali dei fiori si nasconde il destino di Ferdinando e della sua storia che si conclude con una affermazione di sé profumata e libera.
Titolo: Il Toro Ferdinando Autore: Munro Leaf, Robert Lawson (Beatrice Masini trad.) Editore: Rizzoli Dati: 2021, 80 pp., 16,00 €
Lo trovi tra gli scaffali del Giardino Incartato, via del Pigneto 303/c Roma. Se non vivi a Roma, puoi ordinarlo richiedendolo via mail ilgiardinoincartato@gmail.com te lo spediremo a casa.
Da questo libro è tratto il film Ferdinand di Carlos Saldanha, Cathy Malkasian, Jeff McGrath. 2017
Oggi incontriamo Antoine Guillopé per parlare di Lupo nero, finalmente arrivato in Italia Grazie a Camelozampa. Alle 18,00 sulla pagina fb del Giardino Incartato, libreria indipendente per bambini e ragazzi
La mia Giungla, Antoine Guilloppé – L’ippocampo Edizioni, 2014
Ci sono due sguardi tra le pagine di questa meravigliosa opera autoriale, editoriale e tipografica: il nostro, dietro le fronde, e quello di un misterioso abitante della giungla, oltre. Lui ci osserva come se fossimo in piena luce, esposti alla sua ferina attenzione, noi ne ascoltiamo i sussurri e un po’ tremiamo, ma non di paura, piuttosto d’attesa, d’impazienza. Non c’è niente che gli sfugga, persino i serpenti si ritraggono e nascondono al suo passaggio, sempre che riescano a percepire il lieve fruscio del suo passo discreto. Tutto domina e conosce, nulla teme. Sfogliando e risfogliando crediamo di aver intravisto qualcosa di lui attraverso le trasparenze di queste pagine intagliate, talvolta nere, talvolta bianche, che paiono di pizzo, ma comunque ci sfugge e pian piano prendiamo coscienza del fatto che questo essere misterioso si rivelerà soltanto quando lo vorrà, quando sarà…
Cane si veste perbene, vive in una bella casetta, è riflessivo e assennato. Lupo se ne va in giro vestito della sua sola pelliccia selvaggia e ne sa una più della volpe (che però in queste storie non c’è).
Lupo e cane. Insoliti cugini, di Sylvia Vanden Heede, M. Tolman – 2015 Beisler editore
I due sono cugini, ma molto insoliti, perché tra di loro non hanno in comune nulla se non una buona parte di patrimonio genetico e vivono avventure semplici, da cane e da lupo, ma molto divertenti, in cui lupo si mostra intelligente e cialtrone, talvolta un po’ dispettoso, e cane orgoglioso, paziente, con una propria personalità ligia, e come non potrebbe?, a se stessa.
Lupo e cane. Insoliti cugini, di Sylvia Vanden Heede, M. Tolman – 2015 Beisler editore
I due litigano, poi fanno pace, poi bisticciano ancora, come due veri amici, insomma! Sono 9 avventure in cui il testo (accompagnato da belle illustrazioni a colori) si sviluppa in verticale, come se si trattasse di una filastrocca. Il fatto che sia spesso in forma dialogica permette al giovane lettore di esercitare piacevolmente la lettura espressiva.
Cosa accade quando a turbare questo equilibrio perfetto tra i due insoliti cugini interviene un cucciolo? Beh, sin dalla copertina, in cui i due si fronteggiano digrignando i denti, si percepisce che ci saranno un po’ di disagio e rabbia da gestire e con i quali confrontarsi. Ma queste due anime che si compensano a vicenda, questa diversità di indole e approccio che trova nel digrignare i denti un punto di contatto e comprensione, saprà nutrirsi di umorismo, e momenti di riflessione tali da rendere le loro giornate alle prese con cucciolo, e di conseguenza le loro avventurose storie quotidiane di canini e pelo più o meno arruffato, spassose e coinvolgenti.
Cane, lupo e cucciolo, di Sylvia Vanden Heede, M. Tolman – 2020 Beisler editore
Lupo e Cane. Insoliti cugini è un libro edito nel 2015 ora in libreria in una veste rinnovata assieme a Cane, Lupo e cucciolo entrambi con una bella novità: ai racconti dal timbro allegro e musicale, arricchiti dalle illustrazioni guizzanti e colorate di Marije Tolman, si aggiunge la possibilità di ascoltare, con la voce di Cristiana Tollis, grazie all’app leggi e ascolta Beisler, in omaggio con l’acquisto del libro, ulteriore passo, zampa nella mano, verso la lettura autonoma.
[Questo libro fa parte della collana Leggogià in cui si usa un carattere più facile da leggere, si chiama Testme, che non affatica gli occhi].
Titolo: Cane, Lupo e cucciolo Autore: Sylvia Vanden Heede, M. Tolman Editore: Beisler editore Dati: 2020,120 pp. 16,00 €
Trovate questi libri tra gli scaffali del Giardino Incartato, libreria per ragazzi in via del Pigneto 303/c, Roma. Oppure, se non siete a Roma potete trovarci su Bookdealer o chiederci di spedire a casa vostra, lo faremo con molto piacere ricorrendo a Libri da asporto.
Re Arraffone I ha emanato tantissime leggi che stabiliscono che i suoi sudditi debbano amarlo a più non posso, eppure non si sente amato da loro. Ce ne sono numerose che, a scapito della libertà dei suoi cittadini, lo portano ad essere elegantissimo, piacente; ciononostante, non si sente amato a sufficienza, anzi, deriso, detestato.
«A dire la verità… Sebbene siano tenuti a farlo, i vostri sudditi non vi amano, Vostra Eccellenza» disse facendo volteggiare nelle lunghe mani ossute un komboloi, il rosario greco fatto di perline. «E vi spiegherò il perché…»
«Parla!»
«Non vi amano perché la notte sognano…»
In queste poche righe sta tutto quanto rende I cuscini magici un libro che non può mancare nella libreria dei giovani lettori che approcciano le lettura autonoma e ricercano in essa una pienezza semplice, avvincente, diretta.
I cuscini magici, di Evghenios Trivizàs – 2019 Camelozampa
Si innesta sul principio classico del re tiranno, che pretende adulazione, che impone deferenza, e sulla verità delle cose che nonostante tutto si fa largo, trova la sua via di fuga. C’è quindi la prepotenza cui sfuggire, e c’è la magia del sogno, che è la strada principale verso una presa di coscienza che invece si radica nella realtà e che quindi, quando ne individua un’altra ben possibile, induce alla rivalsa eroica.
Il re impone leggi durissime: niente feste, niente sorrisi, niente domeniche, che diventano ‘prelunedì’. Ma questo non basta a levare la gioia dal panorama, per cui il malefico scienziato di corte avvierà la produzione di cuscini diabolici, che non permettono di sognare, che, imbottiti con manciate di rimorso, respiri di spie, sussurri di traditori e cinghie di frusta, altro non generano se non incubi.
I cuscini magici, di Evghenios Trivizàs – 2019 Camelozampa
Con illustrazioni a inserti o piena pagina (di Noemi Vola), un carattere ad alta leggibilità, la penna di Evghenios Trivizàs, autore greco dall’ironia vivace, I cuscini magici rivela di quanto potere siano intrisi i sogni e di quanto sia pericoloso quando si trasformano in incubi: assieme alla gioia dell’evasione scompare presto anche la forza per ribellarsi. E proprio come in un sogno, esattamente come in un incubo, il ritmo si fa serrato, la lettura avvincente, fino alla “terribile notte della riscossa” in cui si scioglie in una conclusione che afferma il potere dei sogni e della libertà.
Titolo: I Cuscini magici
Autore: Evghenios Trivizàs (ill. Noemi Vola)
Editore: Camelozampa
Dati: 2019, 80 pp.
Nihm è un acronimo, sta per National Institute of Mental Health. Ma cosa ha a che vedere un dolce e mite topolina di campagna con un segreto di tale importanza?
La signora Brisby vive in un mattone di calcestruzzo, rimasto sepolto nell’orto del Signor Fitzgibbon, assieme ai suoi quattro topolini, dei quali si prende cura da sola da quando è rimasta vedova del suo amatissimo Jonathan. La Primavera è alle porte e con essa si avvicina il periodo dell’aratura, per cui la famiglia Brisby dovrebbe traslocare nella sua residenza estiva, per evitare di finire male tra i ferri dell’aratro. Ma purtroppo il figlio Timothy, si ammala di polmonite. È il più fragile, il più delicato dei quattro. La signora Brisby sa che deve trovare una soluzione e deve farlo in fretta.
Da questa presa di coscienza, che deriva da un’urgenza come in tutti i romanzi che si rispettino, parte un’avventura, che conserva i toni bucolici à la Beatrix Potter per quanto riguarda le descrizioni dettagliate e lievi della natura in cui i protagonisti si muovono, ma al contempo si riempie di mistero e ne intreccia altre nutrite di personaggi ben caratterizzati, di amicizia, d’amore, di coraggio.
Con l’aiuto di un topo ‘druido’ piuttosto intelligente, la vita di Timothy è salva, ma il topolino non può affrontare il viaggio verso la residenza estiva. L’unica è spostare la casa fuori dall’orto. I ratti del roseto possono farlo. Sembrerebbe impossibile, come un manipolo di ratti potrebbe? E invece quei ratti possono far questo e molto molto altro. Il Segreto di Nihm è tutto lì e non si esaurisce tra le pareti di roccia di una tana bellissima, ma si dirama e tocca il passato il presente e il futuro.
Infine, una parola per il corvo, che fa parte di quei personaggi per nulla brillanti in intelligenza ma senza i quali, senza la loro spontaneità, senza la loro leggerezza, senza la loro generosità, nessun eroe potrebbe mai essere tale.
Questo romanzo di Robert C. O’Brien, edito da Mondadori, si è aggiudicato la Newbery Medal nel 1972, è illustrato in bianco e nero con inserti a pagina piena da Fabio Pia Mancini e tradotto dall’inglese da Davide Morosinotto.
Quando interviene la nostalgia, anche le pietre più grandi, quelle più granitiche, quelle blu, possono sgretolarsi. È infida, la nostalgia, talvolta dolce, sembra che non ci sia, che dopo un momento di intensità profonda, sia passata, si sia mescolata ad altro, magari alla rassegnazione, e invece ristà, quieta. Sedimenta e si radica. Basta un soffio di vento che sfiora il viso, basta una parola catturata per caso in mezzo al vociare, basta uno sguardo; la nostalgia riaffiora, si fa largo tra le fenditure dell’anima, tra le venature della pietra e si manifesta, prorompente, autonoma, incontrollabile. […continua a leggere]
Cath Howe mi ha rapita. Notte tarda, sonno che bussa insistente alle porte dei miei occhi, eppure dalla prima pagina la narrazione fresca, accudente, mai retorica, mi ha avvinta a lungo. Non mi succede spesso, anche perché mi pongo nei confronti dei romanzi contemporanei degli ultimi anni con una certa diffidenza per ragioni che non considero qui proprio perché devo giustizia a questa storia che si discosta dalle altre per tono, per timbro, per cura. Ella avrebbe tutti i motivi per essere vittima delle contingenze e di se stessa: si è appena trasferita con la madre e il fratellino in una nuova città, il padre è in prigione per truffa e ci resterà a lungo, la scuola è nuova, le amiche anche e un brutto eczema le tormenta le notti, i giorni, le mani. […continua a leggere]
Belli questi Tantibambini, per citare Munari; sono tanti e diversi, sono vitali, imperfetti, unici, si muovono sulla pagina nel pieno delle loro peculiari identità, di una pienezza che è sfumata al contempo, che arriva e poi sfugge, che gioca in armonia con la pagina e con il lettore, che non fatica a riconoscersi in un bimbo o in quell’altro ma anche in questo qui. Proprio questo qui. […continua a leggere]
Migrazioni, di Mike Unwin, Jenni Desmond – 2019, Editoriale scienza
Migrazioni gode dell’innegabile fascino dei libri a carattere naturalistico che intrecciano a informazioni scientificamente attendibili una narrazione che trova proprio nell’aderenza alla realtà la sua poesia. In copertina si staglia un uccello, simbolo degli animali migranti per eccellenza. Ad ali spiegate e ferme plana tra la pioggia, sotto di lui il mare. Ma all’interno, doppia pagina dopo doppia pagina, le migrazioni sono di tutte le specie: terrestri, marine, volanti. Rettili, insetti, mammiferi, pesci.
Migrazioni, di Mike Unwin, Jenni Desmond – 2019, Editoriale scienza
Uno strano animale, dallo sguardo stanco, la schiena ricurva di peso e pensieri, trascina una grossa valigia. Arriva scalando una montagna che sembra essere l’ultimo ostacolo da superare dopo un lungo viaggio. Passando, attira lo sguardo degli animali del luogo: una gallina, una volpe, un coniglio. La loro curiosità prende la strada lunga e indaga sullo strano animale, ma in maniera indiretta. Si chiede, la gallina, che cosa ci sia dentro la valigia. La risposta dello straniero la lascia di stucco. Nella valigia c’è una tazza. Ma non solo una tazza, anche un tavolino e una seggiola, e una piccola capanna che è la sua casa. La valigia contiene tutta la sua casa. [… continua a leggere]
Cosa c’è nella tua valigia?, di Chris Naylor-Ballesteros – 2019, Terre di Mezzo
Il balcone, di Kalina Muhova, Atanas Dalchev – 2019, Tunuè
Surreale che non sia data a sé stessi la possibilità della luce, dell’aria. Surreale la sensazione che avvolge nel momento in cui si svela la presa di coscienza dell’indifferenza, del non saper guardare oltre, del non cercare l’altro e l’altrove. Smarriscono gli ultimi versi della poesia di Atanas Dalchev, Il balcone (1928), e lo fanno con disinvolta mestizia, instillano con naturalezza una nostalgia dura a dissolversi. […continua a leggere]
Il balcone, di Kalina Muhova, Atanas Dalchev – 2019, Tunuè
Questa storia incomincia con un palombaro, che ha un titolo e un nome, capitano Samofar, che danza lieve sul fondo del mare. Un mare che è verde e del suo verde tinge anche le alghe, i pesci, lo squalo che stava passando oltre ma poi torna sulle sue nuotate e realizza che stava per farsi sfuggire un bel bocconcino. Non ha fatto i conti con Emil, il polpo gentile, però, che interviene in suo aiuto salvandogli la vita. […continua a leggere]
Emil, il polpo gentile, Tomi Ungerer – 2019 Lupoguido
In Topor tutto è estremo. È estremo il surrealismo, è estrema, ed estremamente complessa, la semplicità, è estrema, come in questo caso, la solitudine. Ma questo è anche il caso della dolcezza; della dolcezza tipica di certe fiabe, in cui basta un nulla, basta una piuma, per sfiorare la situazione più drammatica e cospargerla di un velo di morbidezza, attenuandola, dissolvendola.
Il bambino tutto solo, di Roland Topor – 2019 Vanvere edizioni
Quando ho parlato di Remy Charlip su queste mie pagine ho sempre sottolineato come fosse meravigliosa e sorprendente la capacità di piroettare in egual misura e con egual talento tra il tratto della matita e le volute nell’aria. Parlavo di ritmo ma anche di approccio al foglio, parlavo di gestione dello spazio e di repentini cambi d’azione resi con la stessa maestria, la stessa consapevole, autorialità. […continua a leggere]
Dove sono tutti?, di Remy Charlip – 2019, Orecchio acerbo
I libri di Oliver Jeffers sono sempre belli. Il cuore e la bottiglia oltre ad essere bello è anche struggente, malinconico. Per raccontarlo parto, come molto spesso ho fatto negli ultimi mesi, dalle risguardie. Quelle d’apertura, di un bell’azzurro su fondo panna, raccontano del legame tra nipoti e nonni, tra i bambini e certi adulti capaci di porgere un orecchio attento (e giocoforza ancora un poco acerbo) alle domande dei piccoli: quelle esclamate per la meraviglia, quelle sussurrate, quelle del quotidiano, quelle del surreale.
Il cuore e la bottiglia, di Oliver Jeffers – 2019, Zoolibri
Ein Apfelbaum in Bauch, Les éditions de la courte échelle, Canada, Simon Boulerice, illustrato da Gerard DuBois – Diogenes
Succede di dirlo ai bambini, con tono fermo ma intenzioni scherzose. Lo dici tu che sei grande e loro, piccini, ci credono. Resta in una parte della loro testolina e, a volte, quando diventano grandi, lo ripetono anche loro ai propri bambini, con tono fermo e intenzioni scherzose. Si dice con leggerezza “tieni la mela, ma fai attenzione a non ingoiare i semi o ti crescerà un albero nella pancia!”; oppure si dice “ecco la tua mela, mi raccomando non sprecare nulla, ché della mela si mangia tutto, tranne il picciolo, ricorda”. E, sebbene sommesse, le tue parole resteranno a imperitura memoria, perché nessuno vorrebbe mai vedersi crescere un albero nella pancia e tantomeno sperimentare di ingoiare un picciolo! [… continua a leggere]
Ein Apfelbaum im Bauch, Les éditions de la courte échelle, Canada, Simon Boulerice, illustrato da Gerard DuBois – Diogenes
A di Più Libri Più Liberi 2019, la fiera della piccola e media editoria di Roma, ho avuto l’occasione di intervistare Colas Gutman e Marc Boutavant, gli autori di Cane Puzzone, Una serie di libri per lettori dai sette anni in su, avvincente, illustrata, ricca di avventura, amicizia, coraggio e realtà. In Francia Cane Puzzone e il suo amico Spiaccigatto sono molto celebri, in Italia le loro rocambolesche avventure, edite da Terre di Mezzo, sono ricercate e molto gradite dai bambini e dalle bambine ormai a proprio agio con la lettura autonoma.
Da qualche settimana è in libreria l’ultima avventura a tema natalizio: Buon Natale Cane Puzzone! ( di Colas Gutman e Marc Boutavant , Terre di mezzo Editore).
È la vigilia di Natale: Cane Puzzone e il suo fedele amico Spiaccigatto cercano una casa che li ospiti almeno per quella sera, anche solo per poter trascorrere in un luogo diverso dal solito bidone la sera della vigilia, e le cose sembrano andare proprio per il verso giusto. Una ragazzina, infatti, li sceglie come regalo per il fratello. Lui, però,si rivela antipatico e cattivello, trovandoli disgustosi, li mette in vendita su bancarella di un mercatino delle pulci. Qui conoscono la piccola Cuordilana che ha perso la sua bambola, va da sé che se c’è una bambina in difficoltà Cane Puzzone non si tira mai indietro…
Queste le domande che ho posto a Colas Gutman, autore di Cane Puzzone
Cosa ti piaceva leggere da bambino?
Come romanzi, leggevo essenzialmente le storie del Piccolo Nicolas, e poi tantissimi fumetti che trovavo divertenti: Asterix, Iznogoud*, Oumpah-Pah. Ero un grande fan di Goscinny e lo sono ancora. E anche di Franquin, con il suo Gaston Lagaffe e il Marsupilami. Questi libri erano le mie “bolle protettive” di tenerezza e divertimento.
Il fatto che Cane puzzone non ottenga mai un riscatto completo ma solo piccole gratifiche dal destino non è un po’ crudele? Oppure contribuisce a rafforzarne la personalità naif e intrepida?
Quando scrivo le avventure di Cane Puzzone penso spesso a François Truffaut che, nel suo “I 400 colpi”, porta il personaggio di Antoine Doisnel a vedere il mare. È un sollievo sia per lui sia per lo spettatore. In ogni storia di Cane Puzzone, dopo la scoperta della durezza del mondo, ritrova sempre il confort del suo bidone della spazzatura. È un modo per ricondurlo al suo bozzolo e dar sollievo sia a lui sia ai miei lettori. Cane Puzzone non ha bisogno di redenzione: non è lui a dover cambiare, ma è la società a doverlo accettare così com’è. A volte capita che i personaggi che compaiono nelle sue storie imparino da lui e cambino i loro comportamenti, però anche in questi casi non parlerei di redenzione ma piuttosto di educazione: al rispetto degli altri, alla difesa dei diritti degli animali e delle persone più fragili, ma sempre umoristicamente, in modo da non risultare mai troppo pesanti.
Hai un lettore ideale o invece procedi senza schemi predefiniti?
La mia prima editor a L’école des loisirs, Geneviève Brisac, mi diceva sempre che avrei dovuto scrivere il libro che mi sarebbe piaciuto leggere da bambino. Questo è un altro esercizio interessante, non per cercare il libro perfetto ma il lettore ideale. Questo lettore ideale lo immagino sempre sufficientemente aperto per poter leggere la realtà con umorismo, e saper ridere alle battute che sfuggono agli adulti. A volte ho l’impressione di essere seduto agli ultimi banchi e di scrivere come un ragazzaccio e questo mi aiuta a non avere troppe inibizioni e non dare lezioni ai miei lettori.
Cane Puzzone e il suo amico Spiaccigatto, e con loro le disavventure grottesche di cui si fanno protagonisti, fanno ridere di pancia i bambini e sorridere sornioni gli adulti che nelle tue storie trovano molta ironia. È pensando a loro, agli adulti, intendo che ne hai seminata così tanta tra le pagine?
Quando scrivo non penso mai agli adulti, ma sempre ai bambini o al bambino che continuo ad essere. Tuttavia, quello che scrivo per i ragazzi deve far ridere anche me, come adulto. Non sono mai un osservatore esterno che si dice “mah, a me fa a malapena sorridere, ma sicuramente farà ridere i ragazzi”.
I bambini imparano molto presto l’ironia, è questo risulta evidente quando li senti parlare tra di loro. Sono molto incisivi, spietati e colgono sempre nel segno. E non si tratta di una particolarità francese. Spesso invece gli adulti sono troppo protettivi e per i libri d’infanzia scelgono un umorismo troppo cauto e lontano da quello quotidiano dei ragazzi, che invece adorano l’umorismo. Io mi ricordo ancora dei dialoghi dei Fratelli Marx di quando avevo 6 o 8 anni. L’irriverenza di Groucho mi faceva già ridere più della mimica di Harpo. Non si tratta di ricerca di stile, ma di operare uno slittamento che permette di rendere la vita più divertente e sopportabile.
I personaggi adulti sono irrimediabilmente mediocri, quando non crudeli. I bambini anche, talvolta, ma più spesso complessi e sfaccettati, mai esplicitamente eroici, sempre intensamente tragici. Giochi molto con l’ambiguità rendendo complessa una narrazione che invece scorre via briosa e frizzante… insomma, questa non è una domanda, è più un complimento, ma per ottenere questo risultato così fresco scrivi di getto o sottoponi i tuoi testi a molte revisioni?
Scrivo e riscrivo moltissimo. Faccio almeno una decina di versioni per ogni libro di Cane Puzzone. Mi piace molto mettere i bambini e gli animali a confronto con la stupidità e con le norme di alcuni adulti, ma lavorare sull’idiozia umana richiede molto impegno!
Domande per Marc Boutavant, l’illustratore di Cane Puzzone
Ho notato che quando vuoi mettere in risalto la puzzosità di Cane puzzone, e anche del suo amico Spiaccigatto che sebbene più lindo comunque condivide con lui un bidone della spazzatura, usi come sfondo dei bei colori lindi e pinti, soprattutto il rosa. Come gestisci l’uso del colore e cosa ti fa scegliere per l’uno o per l’altro in una illustrazione?
Cane Puzzone e Spiaccigatto navigano in acque torbide, o anche luride, ed è necessario che appaiano più “puliti” di quello che li circonda. Quindi scelgo spesso di disegnare i luoghi in cui si muovono e i personaggi con cui hanno a che fare in maniera un po’ cupa, utilizzando ad esempio dei colori scuri, per far risaltare la tenerezza dei due eroi rispetto a tutto ciò che li circonda.
In effetti questo dipende molto dalle espressioni e i colori che utilizzo… Ad esempio quando non utilizzo il rosa per la lingua di Cane Puzzone, lui sembra molto meno gioioso! Inoltre nella prima versione Cane Puzzone era molto più sporco e meno carino. L’ho fatto evolvere rapidamente perché trovavo troppo pesante che i bambini dovessero avere a che fare con un mondo così terribile (ma anche buffo e sarcastico) senza avere un personaggio accattivante a cui affezionarsi.
Quante prove hai fatto per realizzare il perfetto Cane Puzzone? L’ha sempre immaginato così?
Dal momento in cui gli esseri umani hanno iniziato ad interessarsi alla rappresentazione degli animali, ci sono stati moltissimi Cani inventati, disegnati, scolpiti o animati e durante la mia infanzia ho fatto il pieno di questi sacchi di pulci. Per Cane Puzzone ho cercato una forma che assomigliasse il più possibile a uno strofinaccio per i pavimenti. E quando l’ho trovata ero contento, avevo l’impressione di aver inventato qualcosa, di essermi rinnovato… e poi l’indomani mi sono reso conto che era lo stesso cane che disegno da quindici anni in un fumetto che si chiama Ariol, di diverso aveva solo gli occhi.
Ci sono un cane e un gatto reali cui ti sei ispirato?
Posso anche inserire Cane Puzzone in una genealogia, con il cane di Lucky Luke come genitore e il cane della Maison de Toutou e Leonard, il cane dell’île aux enfants* come parenti…
Cosa preferisci illustrare, i momenti dolci e teneri in cui il nostro manifesta appieno la sua generosità o quello grotteschi?
Mi capita spesso, e da molto tempo, di disegnare scene alquanto tenere e tranquille. Cane Puzzone mi ha dato la possibilità di lavorare anche su una certa cattiveria rozza e grottesca e su ambientazioni un po’ tristi o squallide. Non amo crogiolarmi in questo genere di temi, a meno che non siano controbilanciati da personaggi come Cane Puzzone e Spiaccigatto, che spero siano più luminosi rispetto all’oscuro mondo in cui si muovono.
*Iznogoudin Italia pubblicato da Panini con lo stesso titolo, e da cui è stata tratta la serie di cartoni “Chi la fa l’aspetti!”, andata su Canale 5 e poi su Italia 1, nella metà degli anni 90; Oumpah-Pah, serie a fumetti umoristica che venne pubblicata anche sul Corriere dei Piccoli alla fine degli anni ’60. I tre fumetti citati sono tutti di René Goscinny
*due trasmissioni francesi per bambini, andate in onda dal 1967 al 1982, che avevano come protagonisti dei pupazzi animati
Trovate questo libro tra gli scaffali del Giardino Incartato, libreria per ragazzi in via del Pigneto 303/c, Roma.