La ragazza Chissachì che sa come affrontare la verità

“Chi sono?” ricordo di avere chiesto a Bernardette un giorno che eravamo in cucina.
“Tu sei il mio Zuccherino dolce. La mia dolcissima bambina”, cinguettò in risposta.
“Sul serio, Bernie: chi sono io veramente?”
“Tu sei Heidi. Heidi Chi.”
“Tutto qui?”
“Questo sei ora. Non ti basta?”
“Una persona non dovrebbe avere una storia?” Chiesi.

Ciò che resta tra le dita, finito di leggere queste intense pagine, è il ricordo di un maglione di lana rosso consunto e di una caparbietà fuori dal comune. Quella lana e quel colore denso rivestono e ammorbidiscono una mente all’apparenza decisa e priva di paure, rendendola quello che realmente è: la mente di una bambina.

C’è qualcosa in questo libro di indecifrabile come certi sorrisi; indecifrabile come quella sensazione a metà strada tra la tristezza e la gioia. Le ultime pagine, e non solo quelle, di questa tenera storia sortiscono lo stesso effetto nell’animo di chi legge dello sguardo docile di un animale in gabbia: una indicibile tenerezza.

La ragazza Chissachì narra la storia di più bambine: Heidi, sua madre e Bernie. Heidi bambina per l’età, la madre per malattia e Bernie per paura.WhatsApp Image 2023-03-14 at 10.53.34

Quando Heidi aveva solo pochi giorni, una signora di nome Bernadette, schiava di una grave agorafobia, la trova tra le braccia di sua madre, sul proprio pianerottolo. Da quel momento Heidi e la giovane madre, che da sola non riesce nemmeno ad allacciarsi le scarpe, vivranno con lei, con Bernie, fino a quando, dopo tredici anni, Heidi ritrova in un cassetto un vecchio rullino fotografico e lo fa sviluppare.
Tra le foto diversi volti, un luogo e una parola “suff” che la madre ripete spesso e alla quale né Heidi, né Bernie sono mai riuscite ad attribuire un significato.

Da questo momento in poi la narrazione sembra voler correre a perdifiato verso una soluzione, verso qualcosa o qualcuno capace di dissipare i dubbi e fornire qualche certezza a una ragazzina che di sé e della propria madre non conosce nemmeno il nome.
Chi Sa Chi, questo il nome della madre e Heidi, Heidi Chi.

Anche solo questo nome e questo cognome sarebbero sufficienti a smarrire e commuovere, ma non si tratta solo di questo.
Heidi scrive tante liste, è un’abitudine, e la maggior parte di esse sono domande, punti interrogativi.
Heidi possiede una dote naturale e straordinaria: vince sempre nei giochi d’azzardo.
Heidi non ha amici, fatta eccezione per un ragazzino vicino di casa, e non si è mai spinta al di là del proprio quartiere. Nonostante ciò parte, da sola, protetta solo da un maglione rosso, e viaggia per giorni, per arrivare laddove l’istinto e gli indizi la conducono: verso il proprio passato, verso la propria identità.

Sarah Weeks è una musicista, una cantautrice e una scrittrice di libri per ragazzi. Non a caso una sorta di musica si percepisce tra le righe.
Non capita di frequente di leggere un libro così raffinato e allo stesso tempo così semplice. La ragazza Chissachì è soprattutto un libro per ragazzi, ma anche per adulti. A qualsiasi età lo si incontrasse sarebbe, comunque, difficile separarsene.

41naxpxsmilTitolo: La ragazza Chissachì
Autore: Sarah Weeks – Traduzione di Chiara Belliti
Editore: Beisler Editore
Dati: 2005, 197 pp., 10,90 €

Lo trovi tra gli scaffali del Giardino Incartato, libreria in via del Pigneto 303/c a Roma

I romanzi per adulti ragazzi

Leggo molti libri per ragazzi e giovani adulti, forse per questa ragione nel momento in cui incontro libri per adulti, in questo caso addirittura vincitori di premi prestigiosi (Il Campiello), che parlano alla mia esperienza di lettrice di letteratura per l’infanzia e l’adolescenza trasalgo.

Perché, mi chiedo, è su uno scaffale in alto piuttosto che ad altezza di occhi adolescenti?

I miei stupidi intenti (Sellerio) è un libro che mi ha tenuta avvinta alle pagine senza scampo, che ho scelto di regalare alle nipoti come ai nonni. Un romanzo ferino, d’avventura, a tratti filosofico, in cui la parola scritta, e la capacità di scrivere, rivestono un ruolo determinante e si mescolano alla natura selvaggia; ogni pagina è pervasa da sentore di muschio, da umidità di terra smossa, da istinti puri e cristallini, così come da riflessioni composite, necessità di rivalsa, gratificazione, elevazione del proprio status.

Ma chi parla, mi chiedo? A chi parla questo romanzo, libro d’esordio del venticinquenne Bernardo Zannoni? Per la limpidezza del coraggio nel narrare, per sua propria voce, anzi, di suo pugno, la storia di Archie, faina dal destino atipico, con parole di immediata efficacia, con durezza, con gioia, con profondità non ricorda forse le voci limpide, dure, gioiose dei nostri adolescenti? Forse questa faina zoppa, scambiata dalla madre per una gallina e mezza e quindi resa schiava di una volpe usuraia che vive nel folto del bosco e che però sa scrivere, racconta e parla a noi tutti? Adulti maturi, adulti dall’orecchio acerbo, ragazzi e ragazze? Forse sì, forse parla una lingua universale, Zannoni per mezzo di Archie. È la narrazione, non il lettore, il punto.

Mentre nel momento in cui incontro Red Fox Road (di Frances Greenslade, nella traduzione di Elvira Grassi, Keller edizioni) il bisogno di pormi questa fatidica e spesso annosa domanda non si pone, perché che sia un libro per adulti e ragazzi è esplicitato in copertina, quasi fosse un sottotitolo. Si tratta di un’avvincente storia di sopravvivenza ma allo stesso tempo una storia molto dolorosa di crescita, formazione, familiare. Man mano che il contesto si fa più ostile, anche i ricordi lo diventano. Man mano che la solitudine diviene abbandono, anche le  la morte, il dolore ritornano, le ferite profonde del passato si riaprono e l’ostinazione e il coraggio, il coraggio vivace e resistente di una ragazzina,  sembrano non bastare.

Per due volte Francie lascia un biglietto a chi potrebbe trovarlo, aiutandola, salvandola: ho tredici anni, scrive. Lo scrive in calce, come se fosse la sua firma. Lo aggiunge, lo esplicita. È un rimprovero agli adulti che non la trovano, che l’hanno lasciata a se stessa, che non la cercano. È un messaggio che lascia a se stessa, bambina appena ragazza, per darsi forza, per dire che a tredici anni  si può fare da sé, si può riuscire laddove gli adulti invece no.

È in quei biglietti lasciati da Francie che sta la ragione, stavolta sì, del perché questo sia un romanzo  crossover tra generazioni.

Li trovate entrambi tra i nostri scaffali in libreria, Il Giardino Incartato, via del Pigneto 303/c, Roma

I petoncioni sono segni di vera felicità

Partecipare a dibattiti costruttivi e vivaci è sempre piacevole. Abbiamo espresso il nostro punto di vista in giro per il web in più occasioni ma volevamo anche dedicare uno spazio qui sul nostro blog alla questione Roald Dahl, che secondo noi sta arricchendo i grandi social di spunti interessanti. Tra i tanti pareri ne abbiamo intercettato uno di Luisa Mattia, scrittrice ed esperta di letteratura per l’infanzia, che, come sempre accade quando parliamo con lei, ci ha aperto a prospettive che non avevamo considerato. Ci hanno fatto piacere le opinioni colte, anche quelle dissonanti, ci ha rattristato come invece da più parti i libri per bambini siano considerati uno strumento educativo e pedagogico in quanto portatori di esempi virtuosi. Passando la parola a quelle di Luisa Mattia, quindi, ci limitiamo a ricordare che, esattamente come accade coi libri per gli adulti, è affondamentale che i libri per bambini e bambine, ragazzi e ragazze siano un piacere.

La vicenda dei libri di Roald Dahl passati al setaccio e, di fatto, censurati, ha fatto emergere un altro aspetto che, a mio parere, supera la questione Dahl e ci impone di occuparci del rapporto – impari – tra marketing e diritto d’autore.
Noi autori (e i lettori, per conseguenza diretta) siamo, per forza di cose, sul mercato.
Scriviamo per raccontare, raccontiamo per essere ascoltati e letti e – aspetto non secondario – ci aspettiamo di vivere dei proventi del nostro “Ingegno”. Vogliamo guadagnare grazie al diritto d’autore. Aspettativa sacrosanta, legittima e perfino contrattualmente regolata.
Dunque?
Dunque, non possiamo far finta che la commercializzazione – con tutte le sue conseguenze – non ci riguardi. Dunque, non possiamo scandalizzarci se, dopo aver firmato un accordo di cessione diritti con un network editoriale e audiovisivo ( a qualcuno capita o capiterà), il nuovo padrone pretenda di fare ciò che vuole con quello che scriviamo.
E cosa vuole il Network? Vendere.
E anche qui non ci sarebbe nulla di rischioso se non fosse che i Network – come Netflix, per esempio – hanno un fatturato di miliardi di euro e/o dollari e ogni loro scelta imprenditoriale deve tendere a mantenere questo fatturato, anzi ad aumentarlo. Per ottenere questo, Netflix (o qualsiasi altro network) deve “andare incontro alla clientela”, cioè non offrirgli motivi di scontento o di rifiuto.
La clientela in questione è fatta di migliaia di network locali che, a loro volta, obbediscono a sensibilità, leggi, priorità, religioni e dogmi del loro territorio. Il network ha di fronte un gigantesco compito e cioè prevenire critiche e rifiuti di acquisto che, in un batter d’occhio, potrebbero mandare a ramengo qualunque bilancio miliardario. Ecco, allora, l’intervento di “pulizia preventiva” che, non volendo fare torto a nessuno, ammorbidisce, svuota, modifica, mortifica, cancella, cambia.
Cambia parole e dunque concetti e dunque pensiero, uniformando il tutto in una “pappa” economicamente vantaggiosa e culturalmente sterile.
La vicenda dei libri di Dahl conferma un processo in atto da anni che danneggia il diritto d’autore ma, ancora prima, il diritto del cittadino e del lettore a scegliere tra offerte diverse senza piegarsi al “padrone” che dichiara di agire nel “rispetto delle sensibilità” di tutti.
Roald Dahl, grandioso e irriverente, ha raccontato ciò che voleva e come voleva. Però è morto, purtroppo, e tutto il suo fantastico mondo – che anno dopo anno è diventato una sorta di deposito di denaro degno di Paperon de’ Paperoni grazie ai film, ai gadget, agli adattamenti e alle traduzioni delle sue opere – ha saziato i suoi eredi che, immagino ricoperti d’oro, hanno ceduto tutto a Netflix. Ma proprio tutto, dai gadget ai testi originali. Ceduto. Vuol dire che, una volta incassato il compenso, se ne sono lavati le mani e Netflix adesso è, a tutti gli effetti, “il padrone di Dahl” e lo può tagliare, strappare, rivoltare, riscrivere come meglio crede.
Dahl, autore libero e irriverente, è stato trasformato in schiavo.
E un po’ schiavi cominciamo ad essere anche noi autori, lettori e spettatori che, in cambio di un abbonamento a basso prezzo, deleghiamo la costruzione del nostro immaginario a network che appiattiscono, normalizzano, cancellano.
È una vecchia storia: il profitto è la vera sostanza della cancel culture che agisce anche sull’inconscio, millanta protezione e spalanca le porte a moralizzazioni di sostanza autoritaria. E quale terreno migliore per cominciare la semina, se non romanzi e racconti per l’infanzia? (Luisa Mattia)

Ci sarà sempre aria per costruire dei castelli

Guus Kuijer, Mio padre è un PPP

Sebbene meno coinvolgente rispetto al precedente Per sempre insieme, Amen, l’ultimo romanzo di Guus Kuijer edito da Feltrinelli Kids, Mio padre è un PPP, che ne è seguito ed evoluzione, rimane un libro assolutamente godibile, coinvolgente, arguto e poetico.

La protagonista, Polleke, è la stessa bambina intelligente, profonda, non convenzionale, che avevamo conosciuto in precedenza, che affronta giorno per giorno problemi e disagi profondi con una naturalezza e una levità che smarriscono e al contempo consolano, con un plus che complica le cose: Polleke ci racconta stavolta una parentesi della sua adolescenza; il primo amore, il primo bacio, le prime delusioni, la maggiore consapevolezza. Ambientato in Olanda, risente della disinvoltura culturale condita da atteggiamenti non convenzionali, e di una dolce consuetudine: rispetta il punto di vista dei bambini, investendolo della serietà che sempre merita e possiede.ritaglio mio padre è un ppp

Suo padre Spik è un PPP, è la stessa Polleke a darne questa definizione, un padre, cioè, particolarmente problematico, tossicodipendente, senzatetto. Polleke, però, lo adora, e non solo perché si tratta di suo padre, ma anche perché lo considera un poeta, sebbene non trovi il modo e la forza di mettere su foglio questo suo talento. Il tutto senza alcuna rarefazione o dolcificazione, sempre con un contatto, che è un tatto naturale, con la realtà, disarmante e vero. Polleke è vera, naturale, semplice e complessa.

Il maggiore pregio di questo libro, tra i tanti, è la limpidezza dello sguardo con il quale la narrazione si confronta con questioni pratiche e quotidiane che divengono esistenziali, per assurdo, proprio per il pragmatismo che l’autore sceglie di guidare i suoi protagonisti. Non ci sono drammi, sebbene le contingenze siano difficili, non ci sono estremizzazioni. Tutto è narrato e vissuto con una misura che è intensa, ricca di umorismo, intelligente e saggia e per questo diviene poetica.

Ne consiglio, vivamente, la lettura dai 10 anni in su.

9788807921971_quarta.jpg.438x683_q100_upscaleTitolo: Mio padre è un PPP
Autore: Guus Kuijer
Editore: Feltrinelli Kids
Dati: 2013, 105 pp., 10,00 €

Lo trovi tra gli scaffali del Giardino Incartato

Bimbi solitari che parlano agli animali

E l’eternità cominciava a mezzogiorno, nel caldo che luccicava, quando ce ne stavamo l’una accanto all’altro e io gli spiegavo sottovoce le parole che avevo imparato a scuola la mattina. Tu sei un gatto impertinente, gli sussurrai una volta, e io una bambina impertinente, e la verità è che siamo stregati, noi due, e vivremo settantasette vite.

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Jutta Richter

Ho incontrato Jutta Richter (tra le più note autrici tedesche per l’infanzia degli ultimi dieci anni) in occasione dell’uscita de Il Gatto Venerdì (Beisler editore). In quella circostanza ha risposto per me ad alcune domande.

D: Quando la storia de Il Gatto Venerdì ancora muove i suoi primi passi ci si trova posti di fronte ad una delle più oscure verità della nostra esistenza: “Essere vittima vuol dire farsi del male”. È un concetto complesso che Lei riporta quasi con leggerezza. Chiaramente sono scelte consapevoli: come si accosta a temi di questa profondità e qual è il processo che riesce a semplificarli e renderli così diretti e naturali?
R: Questo processo è molto semplice: cerco di mettermi nei panni di un bambino e di ricordare come mi sentivo e come pensavo io stessa da bambina.
Quando scrivo mi infilo nella protagonista e immagino di pungermi con una spilla. Sono solo gli esempi che riescono, in un bambino, a far intuire che la sofferenza che non ha senso fa di lui una vittima. Un’affermazione del genere è difficile/problematica solo per gli adulti.
Il dono più grande che io ho come autrice è quello di ricordare benissimo la mia infanzia e posso trattare questi argomenti potendo godere della mia intuizione infantile. Non ricorro al pensiero filosofico o analitico, perché sono convinta che le cose profonde, cosi dette “complicate” sono invece semplicissime.

D: I protagonisti dei suoi libri sono spesso soli o isolati o ancora, e forse meglio, indipendenti da un gruppo, ma stringono indissolubili e profondi legami d’amicizia con gli animali. Animali che sono essi stessi capaci di spiegare, risolvere, tremare, amare. Qual è il suo personale rapporto con gli animali e cosa La induce a sceglierli come effettivi protagonisti delle sue storie?
R: Io vivo con gli animali e sono cresciuta con gli animali. Hanno un ruolo importante nella mia vita. Perlopiù il genere della Fiaba mi permette di usare animali parlanti per semplificare la storia che altrimenti potrebbe risultare veramente complicata.

D: La bambina protagonista immagina di ritrovare in un gatto spelacchiato e randagio il supporto e l’appoggio che in casa le mancano. È una via d’uscita cui molti bambini solitari ricorrono ed una splendida scelta narrativa: come nascono le Sue storie?
R: Mi interessano i bambini solitari ed emarginati perché ciò riflette il mio carattere da bambina solitaria. Anch’io parlavo con gli animali. E del resto non so esattamente neanche io come nascono le mie storie. È un dono oppure l’intuizione di cui parlavo prima: all’improvviso trovo nella mia testa una frase e mi accorgo che era sempre stata lì: “Nella nostra strada c’era un gatto, un vecchio gatto bianco.” È la prima frase, il filo rosso, che guida e determina tutta la storia.
Sono convinta che un autore non possa interpretare le sue storie, ma le storie buone permettono infinite interpretazioni.

D: Sta lavorando ad un nuovo progetto?
R: Non parlo mai dei miei progetti, perché una storia che è stata raccontata troppe volte non può essere più scritta.

31zx-gz1wllTitolo: Il gatto venerdì
Autore: Jutta Richter
Illustratore: Susanne Berner Rotrau
Dati: 2006, 50 pp., ill., € 8,90

Trovate tutti i libri di Jutta tra gli scaffali del Giardino Incartato, libreria per ragazzi in via del Pigneto 303/c, Roma. Oppure, se non siete a Roma potete trovarci scriverci (ilgiardinoincartato@gmail.com) e chiederci di spedire a casa vostra, lo faremo con molto piacere ricorrendo a Libri da asporto.

gli altri articoli sui libri di questa autrice

Il ragazzo fantasma

Edito per la prima volta nel 2000 (e poi tradotto da Chiara Gandolfi e pubblicato in Italia da bohem press nel 2011 con le illustrazioni di Federico Appel), “Il ragazzo fantasma” è un romanzo complesso che comprende in sé la tensione sottile dell’horror, la delicatezza della meditazione sul senso di sé e della vita (e quindi della morte), la difficile acquisizione della consapevolezza della rilevanza delle proprie azioni.

David è un ragazzo di 12 anni, basso per esserlo e per questo bullizzato a scuola. I genitori di David sono separati e la madre vive proprio in un altro Paese, ma il padre, Harry, riservato e mite, è premuroso e accogliente. Nonostante ciò o a causa di tutto ciò David col padre parla poco, per niente. Preferisce covare in sé le proprie insicurezze e lasciarle fluire in idee e azioni del tutto controproducenti nell’ottica del trovare sfogo o serenità, ma piuttosto rilevanti, sebbene drastiche, in quanto ad autonomia e crescita.

Il ragazzo fantasma, di Melvinn Burgess, ill. di Federico Appel - 2011, Bohem Press
Il ragazzo fantasma, di Melvinn Burgess, ill. di Federico Appel – 2011, Bohem Press

David aveva paura, una paura folle! Ma su David la paura aveva l’unico effetto di dargli uno stimolo in più

Uno stimolo in più, una ragione assieme alle altre per cedere a quella voce irresistibile che spinge David a intrufolarsi nel condotto di aerazione. Spiare gli altri e perpetrare piccole vendette ai danni di persone innocenti sembra essere per David una buona risposta ai soprusi che subisce quotidianamente. Ma tutto si complica e assume contorni inquietanti quando trova un compagno di scorribande piuttosto arrabbiato ed evanescente: lo spettro di un ragazzo carico di rabbia e insoddisfazione.

Chi è questo fantasma, o meglio, chi era? Perché è così ostinatamente crudele col mite vecchietto ultranovantenne dell’appartamento del quinto piano?

David si lascia trascinare in un crescendo di violenza e vandalismo che molto incidono sulla salute, già molto precaria del signor Alveston, fino a ficcarlo in un guaio che non vale assolutamente l’amicizia, apparentemente incredibile, con un fantasma.

David e il ragazzo fantasma distruggono l’appartamento del vecchio; per il fantasma, ovviamente, nessuna conseguenza, per David un po’ per costrizione (il padre gli impone di fare amicizia con lui), un po’ per scontare la pena inflittagli dal giudice, comincia un periodo di crescita inatteso: si sorprende a stringere con il signor Alveston un’amicizia profonda e sincera che condurrà entrambi verso una maturazione; verso loro stessi, con consapevolezza.

Lo spazio dietro al muro, però, continua a chiamare. Chiama David, chiama il signor Alveston.

Non ci andrò, – promise  se stesso.Poi lo disse ad alta voce: – Non ci andrò! – Gli rispose solo il silenzio, ma un silenzio con dentro qualcuno.

Non posso andare oltre senza svelare il nodo e la chiave di questo che è un romanzo in cui la tensione e il mistero sono prevalenti, ma posso dirvi senza dubbio che Burgess è magistrale nel rendere entrambi profondi, costellando la narrazione di elementi introspettivi veramente eccellenti. Quello di Burgess è, come sempre, uno sguardo attento e premuroso sull’adolescenza, e le sue dolorose contingenze sociali e interiori. Qui l’adolescenza si mescola con la vecchiaia, tingendo il tutto di un’atmosfera incalzante, per lo scorrere del tempo presente, e soffusa, per il ricordo di quello passato. Un romanzo la cui lettura consiglio dai 9 anni in su.

Il ragazzo fantasma h230Titolo: Il ragazzo fantasma
Autore: Melvin Burgess (ill. in bianco e nero di Federico Appel), trad. Chiara Gandolfi
Editore: Bohem Press
Dati: 2011, 184 pp., 16,50

Lo trovi sugli scaffali del Giardino Incartato

Drama queen

Non appena sentiamo nell’aria il profumo dell’aria umida e fredda del Nord Europa noi accorriamo. Ci piace, ci piace moltissimo, il timbro che contraddistingue le narrazioni di provenienza nordica, ci piace la capacità di stimolare una lettura immersiva che si traduce in un essere lì, vivere lì. Sarà forse grazie al realismo che mette sul piatto quella dose di verità che sempre ricerchiamo nei libri per l’infanzia e l’adolescenza, sarà forse la distanza così tangibile, così profonda con il nostro quotidiano (ma è poi davvero così distante e così diverso?), oppure le immagini drammatiche, grottesche, poetiche…

Questa è la volta di Drama Queen di Derk Visser, scrittore nederlandese autore peraltro di Zucchero filato, un altro romanzo caratterizzato dallo stesso timbro, dalla stessa onestà.

Come in Zucchero filato, una protagonista, una ragazza, sicura di sé, con le idee molto chiare, che cerca sì la sua strada senza fare sconti alla realtà ma al contempo la subisce, costretta a rivestire i panni dell’adulta senza alcun protagonista, che adulto lo sia davvero, a farle da sponda nei momenti di dolore, di difficoltà, di incertezza. La madre, giovanissima, spogliarellista, capace di un amore allegro senza fronzoli, un nonno malato, alcolista, insegnanti giudicanti, sbrigativi, incapaci di percepire una realtà sottesa all’apparenza.

Ci muoviamo assieme ad Angel su per le scale strette di palazzoni di periferia grigi, miseri. Entriamo in case piccole, spoglie, nelle quali si muovono personaggi grotteschi dalle anime vibranti. Per parchi di cemento, in cui le erbacce si mescolano al fango ghiacciato. Incrociamo persone vere, problematiche, irrisolte, eppure dalla vita piena. Smosse da incertezze, eppure incrollabili nei loro affetti, amabili. Oppure prepotenti, piccoli imbroglioni, bambini schiacciati da un disagio tangibile e, almeno all’apparenza, da farci solo l’abitudine.

Si percepisce la difficoltà di crescere in un contesto complesso e povero, grigio. Eppure l’umidità e il grigiume, la puzza dei fuochi d’artificio esplosi e poi lasciati a marcire, si fa tollerabile, si fa commovente.

Così come la nascita dell’amore per Kayleigh, una nuova, intelligentissima compagna di classe. La narrazione si arricchisce di un tono delicato e fresco, spontaneo, diretto, rendendo tutte le splendide sfumature di un primo amore adolescenziale.

Drama Queen ha vinto nei Paesi Bassi il prestigioso premio Flag and Pennant ed è attualmente in fase di realizzazione un film tratto dal romanzo, con una produzione internazionale.

Titolo: Drama Queen
Autore: Derk Visser (trad. Olga Amagliani)
Editore: Camelozampa
Dati: 2021, 184 pp., 14,90 €

Trovate questi libri tra gli scaffali del Giardino Incartato, libreria per ragazzi in via del Pigneto 303/c, Roma. Oppure, se non siete a Roma potete trovarci scriverci (ilgiardinoincartato@gmail.com) e chiederci di spedire a casa vostra, lo faremo con molto piacere ricorrendo a Libri da asporto.

La voce di carta

Ascolta chi sei, dice il sottotitolo dell’ultimo romanzo di Lodovica Cima, e pare un invito anche per chi legge. Una voce sussurrata che ricorre spesso a richiamare la giovanissima protagonista, Marianna, a se stessa, a quanto di forte in essa ci sia, a quante risorse abbia.

Perché gli adulti in principio paiono non ascoltarla, la sua voce, tutt’altro. Arrivato il momento, la stagione giusta, la mettono a parte del viaggio che dovrà compiere, della nuova vita che dovrà affrontare, lontano dalla casa che le è familiare, dai fratelli, dai genitori. Per lavorare a Lecco, giovanissima, ingenua, fragile, povera. Marianna deve andare a lavorare in una cartiera e sarà ospite in un convitto di suore, tutto quello che guadagnerà dovrà spedirlo a casa. Lei è frastornata, impaurita, eppure dispone se stessa alle nuove contingenze e cresce. Sin dall’istante in cui monta sul carretto che l’accompagna a Lecco, cresce.

Anche la zia Ada aveva abbandonato la cascina di campagna per la vita di città ma non per obbedire alla volontà paterna, piuttosto per sfuggirle, alla ricerca di una vita dissoluta per i più, libera per sé e per Marianna. È sua la voce che sussurra alla ragazza di restare vigile, accogliente, di preferire le reazioni di pazienza a quelle irose, di prendere al volo le occasioni con intraprendenza, senza risparmiarsi, di cercare con determinazione le strade verso la libertà, la coscienza di sé. È la zia Ada, forse, che parla; è Marianna.

Dopo l’arrivo a Lecco trionfa il bianco. Bianco è il colore della carta, bianco è il colore degli stracci sudici che la generano, persino di quelli. Bianchi sembrano i pensieri, lucidi e trasparenti come certi fogli e certe limpide sensazioni, d’amicizia, d’amore. Porosi, vellutati al tatto, come certi fogli e certe determinazioni che portano una ragazza di campagna, sul finire dell’Ottocento a un’avventura quotidiana di formazione e crescita.

Marianna scrive e prima di allora impara, faticosamente, a farlo, e così facendo scrive di suo pugno, sulla carta che ha faticosamente contribuito a creare, da sola, la propria esistenza.

Una storia ben narrata, dal lessico accogliente, un romanzo di formazione che consiglio a ragazze e ragazzi dai 10 anni in su.cop

Hai la mia parola

Con ‘hai la mia parola’ si intendono più cose. È, per cominciare, una dichiarazione di fedeltà, è un giuramento, di quelli che raramente si infrangono, perché solo a dirlo la consapevolezza della serietà dell’impegno è un sigillo. È una dichiarazione d’amore: tu che mi ascolti sai che qualsiasi cosa io dirò lo farò anche per te; se sarai fragile, dirò parole forti, se sarai avventata ne dirò di caute. Io per te. Oppure a parti invertite potrebbe intendersi come se qualsiasi cosa io possa dire è tua, riflette un tuo pensiero.

Infine, se a parlare è una sorella e ad ascoltare è l’altra, e si sostengono e amano a vicenda allora ‘hai la mia parola’ è la frase perfetta per descriverne il legame ed è un titolo altrettanto calzante per un romanzo che sulla parola e la consapevolezza del suo uso si innesta e cresce.

HAI-LA-MIA-PAROLALe due sorelle si chiamano Nera e Mariagabriela, ma di Nera nessuno dice a voce alta il nome, la chiamano la zoppa, la storta, piuttosto. Mariagabriela è bellissima e mite, la vita all’aria aperta però l’ha resa robusta, forte, le sue radici di bambina orfana di madre e figlia di contadini, invece, la rendono socialmente fragile e quindi preda perfetta per i soprusi dei vili. Nera ha imparato a leggere, ciò l’ha resa consapevole e ribelle, capace di usare le parole per difendersi, come una risorsa per sfuggire alle angherie, per salvare, dalla sorte disgraziata cui pare destinata, la sorella.

Ci sono una matrigna crudele e ottusa, un padre debole e manipolabile; c’è la povertà che tutto ammanta di disperazione e limita le scelte. E infine l’amicizia, l’amore, i legami tra i deboli che diventano catene resistentissime capaci di rivalsa. È una fiaba drammatica e perfetta, con la forma del romanzo. Anche i capitoli girano attorno alle parole e da esse si muovono, una parola, un titolo, per ogni lettera dell’alfabeto e tre parti che sembrano andare in direzioni diverse e infine tutte in una convergono, ‘hai la mia parola’, per sempre.

Nera si muove per le terre di un’isola aspra, che è la Sardegna, con un amico fedele e dei compagni animali (una capretta e un gatto) che vivono con essi d’amore e gratitudine; fa delle parole e della sua capacità di narrarle la propria salvezza, dando luogo a una protagonista indomita e fiera, capace di grandi slanci d’amore, di sacrifici, di coraggio.

Un romanzo avventuroso e pieno, capace anche di un finale non scontato.