Ci sarà sempre aria per costruire dei castelli

Guus Kuijer, Mio padre è un PPP

Sebbene meno coinvolgente rispetto al precedente Per sempre insieme, Amen, l’ultimo romanzo di Guus Kuijer edito da Feltrinelli Kids, Mio padre è un PPP, che ne è seguito ed evoluzione, rimane un libro assolutamente godibile, coinvolgente, arguto e poetico.

La protagonista, Polleke, è la stessa bambina intelligente, profonda, non convenzionale, che avevamo conosciuto in precedenza, che affronta giorno per giorno problemi e disagi profondi con una naturalezza e una levità che smarriscono e al contempo consolano, con un plus che complica le cose: Polleke ci racconta stavolta una parentesi della sua adolescenza; il primo amore, il primo bacio, le prime delusioni, la maggiore consapevolezza. Ambientato in Olanda, risente della disinvoltura culturale condita da atteggiamenti non convenzionali, e di una dolce consuetudine: rispetta il punto di vista dei bambini, investendolo della serietà che sempre merita e possiede.ritaglio mio padre è un ppp

Suo padre Spik è un PPP, è la stessa Polleke a darne questa definizione, un padre, cioè, particolarmente problematico, tossicodipendente, senzatetto. Polleke, però, lo adora, e non solo perché si tratta di suo padre, ma anche perché lo considera un poeta, sebbene non trovi il modo e la forza di mettere su foglio questo suo talento. Il tutto senza alcuna rarefazione o dolcificazione, sempre con un contatto, che è un tatto naturale, con la realtà, disarmante e vero. Polleke è vera, naturale, semplice e complessa.

Il maggiore pregio di questo libro, tra i tanti, è la limpidezza dello sguardo con il quale la narrazione si confronta con questioni pratiche e quotidiane che divengono esistenziali, per assurdo, proprio per il pragmatismo che l’autore sceglie di guidare i suoi protagonisti. Non ci sono drammi, sebbene le contingenze siano difficili, non ci sono estremizzazioni. Tutto è narrato e vissuto con una misura che è intensa, ricca di umorismo, intelligente e saggia e per questo diviene poetica.

Ne consiglio, vivamente, la lettura dai 10 anni in su.

9788807921971_quarta.jpg.438x683_q100_upscaleTitolo: Mio padre è un PPP
Autore: Guus Kuijer
Editore: Feltrinelli Kids
Dati: 2013, 105 pp., 10,00 €

Lo trovi tra gli scaffali del Giardino Incartato

Pinocchio prima di Pinocchio. E dopo?

È una Genesi laica, di legno e colori immensi quella che ha illustrato Alessandro Sanna, quella di Pinocchio.

All’inizio fu un magma primordiale dal quale si staccò un pezzetto ribelle di luce, probabilmente stanco di brillare nell’universo sconfinato. Velocissimo, e come ben deciso a farlo, atterra in un’esplosione bianca. Queste esplosioni di norma generano distruzioni; di norma. Ma questo pezzetto ribelle di universo no, questo ha seguito la lezione di Munari e genera un albero: da un tronco due diramazioni e da ciascuna altre due, fino a diventare sufficientemente ampio da attirarsi le invidie del cielo che lo colpisce con un fulmine e ne stacca via un ramo.

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Pinocchio prima di Pinocchio, Alessandro Sanna – 2015, Orecchio acerbo

Quando lo vedo, lì dritto, impettito, stagliarsi nell’aurora, o nel tramonto, lo immagino pronto a mirabolanti avventure. E non mi sbaglio: parte a grandi balzi. Non conosce mezze misure. Sembra felice, ma non pare Pinocchio, non vedo il naso lungo che, così di profilo, certamente salterebbe agli occhi. D’altra parte, da come capitombola e si diverte, sembra proprio lui. Non so… io continuo a seguirlo, e con una certa trepidazione, perché il ragazzino di legno si sta fidando ciecamente di un gatto e di una volpe, silhouette nere nella neve bianca, e s’avvia a passo sicuro verso una folla di altri legnosi, verso un bosco, che dal tanto danzare s’infiammano.

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Pinocchio prima di Pinocchio, Alessandro Sanna – 2015, Orecchio acerbo

Scappa! Scappa! Verrebbe da dire, e lo dico, trepidante, specie quando appare un’enorme figura che ingoia tutto, mangia fuoco, fiamme, mangia gli alberi. Il ramo corre, si bagna, si fa ramoscello di pace nel becco di una colomba, incontra un grillo e un gufo e un serpente. Io sono andata oltre, fino alla fine, che è un chiaro inizio. Ma mentre non voglio svelarvi altro, qualcos’altro voglio chiedere all’autore.

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Pinocchio prima di Pinocchio, Alessandro Sanna – 2015, Orecchio acerbo

1. Alessandro, la scelta di raccontare senza parole è dovuta al voler universalizzare, lasciare fuori dallo spazio e dal tempo, il rapporto tra il mito e il lettore?
R: Le parole sono nell’immagine. Potrei anche dire che le parole lasciano il posto ai respiri interni ed esterni di ognuno di noi. Senza parole mi sembra d’esser più libero e la libertà di comunicazione è sempre una chimera che inseguo nei miei libri d’autore.

2. Io ho ritrovato tra le pagine alcune citazioni. La prima, sebbene adattata a tutt’altro contesto, è de “Il Signor Bastoncino” di Axel Scheffler, un’altra è de “Il Piccolo Principe”,  il serpente e l’elefante. Ce ne sono altre, o invece, anche queste due sono “solo” l’ottimo risultato del dialogo che le opere autoriali innescano tra loro?
R: Tutte queste sono assolutamente citazioni appropriate, ma ci sono anche rimandi alla storia dell’arte da Giacometti a Mark Rothko oppure ai mediavali Duccio e Cimabue. Forse anche il cinema d’animazione di silhouette di Lotte Reineger.
La verità è però che tutte le conoscenze implicite ed esplicite sono fuori dalla mia mano quando disegno. Il libro infatti è una metafora dell’essere artista, con il serpente che mangia tutti e poi sputa dal sedere e anche con il pescecane che mangia tutti e rimette al mondo dalla bocca tutti i personaggi. Tutti noi siamo digerenti medium che buttano fuori, da ogni orifizio possibile, il conosciuto e il vissuto.

3. La narrazione, come l’evoluzione, come la vita stessa, è ciclica: si parte da un punto per tornare a un altro molto simile ma del tutto diverso e quindi ripartire: dopo la storia Prima, c’è quella di Pinocchio. E dopo?
R: Dopo c’è un’altra vita. il libro si doveva chiamare “La vita prima della vita” e “La vita dopo la vita”. Pinocchio è venuto a smorzare i toni. Quello che voglio raccontare con questo libro è la fragilità del bambino e precisamente del bambino in condizioni di vita costretta. Mi riferisco alla vita in ospedale di bambini ammalati e purtroppo con poche speranze. Quei bambini li ho visti e incontrati e da lì è partito tutto.

4. Per concludere, ti voglio fare una domanda che qualcuno mi ha suggerito di porti, anche se non svelerò mai chi!, perché della tua risposta non si può far senza: Alessandro, ma come fai a fare disegni così belli?
R: Lavoro tantissimo. Così tanto che anche la mano penso abbia un suo cervello e spesso devo ascoltarla. Grazie!

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Titolo: Pinocchio prima di Pinocchio
Autore: Alessandro Sanna
Editore: Orecchio acerbo
Dati: 2015, 64 pp., 17,50 €

Trovate questi libri tra gli scaffali del Giardino Incartato, libreria per ragazzi in via del Pigneto 303/c, Roma. Oppure, se non siete a Roma potete trovarci su Bookdealer o chiederci di spedire a casa vostra, lo faremo con molto piacere ricorrendo a Libri da asporto.

Specchio delle mie brame. Biancaneve, dalla fiaba alle prime trasposizioni cinematografiche

Sul sito dell’ISMR (Istituto Svizzero Media e Ragazzi), si può scaricare la versione online dell’ultima edizione de Il Folletto dedicato a Pinin Carpi e a Gianni Rodari.
Grazie a Letizia Bolzani che ne cura l’edizione posso condividere con voi anche un mio pezzo d’approfondimento pubblicato sullo scorso numero dedicato invece al cinema.
Si intitola “Specchio delle mie brame. Biancaneve, dalla fiaba alle prime trasposizioni cinematografiche“.
W. C. Drupsteen, 1885
W. C. Drupsteen, 1885

La mia estate indaco

L’estate concede troppo tempo. Ai pensieri, alla noia, alla notte, al sonno. Ce ne sono alcune, poi, che si frastagliano e sfrangiano in decine di piccole estati, ciascuna con la sua gioia, il suo dolore, la mancanza, la nostalgia, la gioia mai così grande. L’estate concede momenti lunghissimi, dilatati, in cui indugiare. Capita a volte di fermarsi a cercare d’afferrare l’aria morbida e vaporosa, alcolica, che si muove, bollente, sull’asfalto. E, riuscendoci per metà, avere il tempo di riprovare a farlo, senza contare se sia utile o meno.

Per questa ragione, a metà, credo che per Viola sia un momento di passaggio, una soglia, attraversando la quale qualsiasi cosa cambia; per la possibilità, cioè, di indugiare sui dolori, gli affetti, le mancanze, senza riuscire ad afferrarne l’oggettiva portata, il vero senso, senza riuscire a ingoiarli, metabolizzarli, farne passato, vissuto. È il tempo, troppo, che concede l’estate. E poi sono i tredici anni. Che arrivano e danno i brividi e gli mettono fretta, anche a quello più lento.

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Entrambe le cose, il tempo lento, trattato con cura, e le emozioni piene dell’estate, si ritrovano nel tono di Marco Magnone, che consegna alla sua protagonista un timbro di concerto diretto e lieve.

Viola si è appena trasferita in una città nuova, di provincia, ha lasciato i suoi amici e per la prima volta non trascorre le sue vacanze in montagna, coi nonni, amatissimi, in roulotte. La nonna è morta e il nonno non sta per niente bene. Viola subisce gli eventi ma non li accetta e lo mostra apertamente. Meno apertamente ma molto intensamente, gestisce le proprie emozioni, incanalandole con molta energia verso l’amore, gli affetti pieni. Vive nel ricordare spesso a se stessa il giorno in cui ha toccato il fondo, così lo definisce, un momento di esposizione completa allo sguardo e al giudizio altrui che non solo l’ha segnata ma che continua a zavorrarla senza che sembri possibile tagliare la fune e riemergere, respirando a pieni polmoni.

Viola non entra più in acqua, fino a quando qualcuno dagli occhi magnetici e dall’attitudine misteriosa, non libera il suo entusiasmo, la sua scattante energia. Con lui, Viola affronta se stessa, gli altri, un viaggio. Si chiama Indaco e nasconde un segreto che non sembra affatto una bugia.

Ci sono anche le bugie, in questo romanzo realistico di adolescenza piena. E meno male, perché altrimenti non sarebbe stato affatto vero.

978880471545HIG-628x965Titolo: La mia estate indaco
Autore: Marco Magnone
Editore: Mondadori
Dati: 2019, 280 pp., 17,00 €

Miss Comedy Queen

Talvolta mettersi a tavolino e redigere una lista aiuta. Mette ordine nei pensieri, stabilisce degli obiettivi da raggiungere passo passo, da la sensazione rasserenante di essere perlomeno a un buon punto dell’opera.
Talvolta però, e mi pare che sia il caso di Sasha e della sua lista per svicolare dal dolore, mettere nero su bianco i propri obiettivi può costringerci a fronteggiarli con più sofferenza di quanta ne proveremmo lasciando che gli eventi percorrano il proprio corso.

Sasha è una ragazza di 12 anni. Un anno prima, la madre, gravemente depressa, si è suicidata. Dal momento in cui il padre le ha telefonato per dirle quanto avvenuto, Sasha, che ha le funny bones, si impone di reagire mettendo a frutto il proprio talento naturale e dedicare tutta se stessa, trascurando anche la scuola per riuscirci, a diventare Miss Comedy Queen. Ridere è la risposta alle lacrime, ridere potrà cambiare il suo mondo. Forse.

Occhi che si riempiono di lacrime. Facendo grande attenzione, mi distendo sul pavimento, per impedire loro di uscire. Guardo il soffitto, dove l’intonaco sta cominciando a staccarsi. Non voglio sbattere le palpebre perché altrimenti le lacrime potrebbero scendere, e io mi rifiuto di piangere. E se le lacrime rimangono negli occhi senza scendere sulle guance, non è pianto. Per distrarmi penso alla lista.

Ma per farlo ha bisogno di un metodo e il suo metodo parte proprio dalla lista, una lista che ha come fondamento il capovolgere tutto quanto la leghi alla madre o al ricordo della madre, a partire dai capelli (lunghi e castani per entrambe) da tagliare, per finire con prese di posizione capaci di irrigidire la mordidezza dei ricordi, cristallizzare ancor più la sofferenza: “La mamma cercava di prendersi cura di una bambina (me). Ed è andata malissimo. 2. Evitare di prendersi cura di esseri viventi”. Che per una ragazza empatica come Sasha, nonostante il suo desiderio di nasconderlo, è diventa una imposizione crudele e limitante.

Sasha vive con il padre, attento e premuroso, sebbene egli stesso provato e sofferente, e ha dei forti rapporti d’affetto con un’amica, anch’essa attenta e piena di cure, e uno zio, buffo, chiassoso, che si fa complice, la coccola e protegge.

Nel testo, che scorre molto agilmente, si scorgono le radici della letteratura nordica contemporanea per ragazzi, permeata da un realismo che riesce a rendere avvincente il quotidiano, il contingente, un semplice pomeriggio trascorso a mangiare un dolce casalingo, una mattinata in classe, un viaggio in auto.
Apprezzo questo da sempre e sempre di più: la capacità straordinaria degli autori contemporanei di matrice nordica di rendere meraviglioso il quotidiano senza valicare mai il confine del realismo, senza che esso diventi prettamente magico, il quotidiano diviene straordinario e capace di creare un legame forte con il lettore che legge, e legge, volendo leggere ancora, e, senza sospendere la credulità, fruire di momenti incantati.

Con le proprie ossa, comunque, bisogna fare i conti: esse ci sostengono, fuor di dubbio. Se  poi sono funny, è meglio. Se sono proprio come quelle di un genitore che ci ha lasciati, che non riusciamo a perdonare, che amiamo, bisogna imparare ad amarle anch’esse, oltre che usarle per sopravvivere, come se fossero la nostra armatura.

380586a7-cbf0-407c-b163-ddbcf4a04df3.jpgTitolo: Miss Comedy Queen
Autore: Jenny Jägerfeld
Editore: De Agostini
Dati: 2019, 255 pp.,  14,90 €

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L’amore sconosciuto

Rebecca Stead ha una qualità che avevo apprezzato anche leggendo Segreti e bugie: riesce a mettersi in un angolino con il suo bagaglio di esperienza e di adulto, e osservare i ragazzi, non vista. Senza intervenire mai, senza mettere in guardia, senza porsi mai in maniera giudicante.

E queste sono qualità che si apprezzano specie quando si applicano anche alla narrazione, che è limpida, non interventista, appunto, che riesce a comunicare tutta la complessità dei rapporti tra ragazzi dodici/tredicenni, tutto l’impasto ingarbugliato di passioni, paure, sentimenti. Rebecca Stead li mette sulla pagina così come sono, o sarebbero, se li si osservasse da un angolino, non visti.

L'amore sconosciuto. Dettaglio della copertina, ill. di Marcos Chin
L’amore sconosciuto. Dettaglio della copertina, ill. di Marcos Chin

Bridge è sopravvissuta a un incidente stradale gravissimo: andava sui pattini quando è stata investita. Ricorda poco e niente di quel momento ma un’infermiera, durante la lunga degenza che l’ha tenuta lontana da scuola per un anno intero, le confida che se è sopravvissuta a quell’incidente terribile è perché la sua esistenza ha uno scopo.

Bridge è inquieta, talvolta, per questo suo “scopo”, altre volte vi si aggrappa, specie quando si sfilacciano, e poi si ricuciono e poi cambiano ancora, i rapporti di fiducia e amore con le sue due amiche di sempre, Tab ed Emily, che ha ritrovato come se nulla fosse cambiato durante la sua assenza e con le quali ha stretto un patto: non litigare mai. Eppure qualcosa è successo e non è solo l’incidente, si tratta anche del naturale processo di crescita che giocoforza interviene a limare, ammorbidendo, o ad appuntire, esacerbando.

Bridge, conosce poi un ragazzo, Sherm, al quale è affidata una narrazione parallela, dal proprio punto di vista, parlata per mezzo delle lettere scritte, e mai spedite, al nonno che li ha abbandonati per cambiare vita. Con lui, amatissimo, Sherm aveva un rapporto di intimità equilibrata e bella. Ora che non c’è più, che ha lasciato dietro di sé la sua vita com’era e una scia di dolore in chi è rimasto, gli rivolge con la stessa schiettezza dell’affetto domande complesse e dal senso profondo che pone a lui, come a se stesso.

Ma la mia domanda è: lo sconosciuto è il nuovo te, o la persona che ti sei lasciato alle spalle?

C’è una ragazza che parla in seconda persona, a San Valentino, che si percepisce, che è, più matura rispetto alle altre. Il cui essere “più grande” implica un altro tono, una prospettiva diversa, con tanti substrati. E infine c’è un ragazzo, Patrick, che entra in questa complessità quotidiana e narrativa con un cellulare, un amore acerbo e delle foto intime che finiscono nella rete del pubblico, utili allo sguardo crudele e superficiale di tutti.

Un romanzo che definirei composto da veli su altri veli, come una cipolla. Si sfoglia, strato dopo strato, fino a un nucleo profumato e pungente, intensissimo.

CL252x168_12150Titolo: L’amore sconosciuto
Autore: Rebecca Stead, (Traduzione Claudia Valentini)
Editore: Terre di mezzo
Dati: 2019, 313 pp., 14,90 €

Ci si vede all’Obse

A Stoccolma nell’estate del 1981 Annika trascorre le vacanze estive più drammatiche della sua esistenza. La famiglia di Annika era sul punto di partire per la campagna quando il fratellino atteso per l’autunno nasce prematuramente. Dalla giornata in cui la madre e il fratellino arrivano in ospedale, Annika affronta da sola, a suo modo, la tragedia in cui si ritrova tutta la famiglia. Il padre e la madre la affidano alle cure di un nonno premuroso e buffo, buona forchetta e con una passione per le api e i ritornelli cantabili, ma lei preferisce la solitudine in cui inconsapevolmente anche i familiari, proteggendola dalla verità, la confinano.Ci si vede all'obse

Annika ha una caratteristica di cui va fiera: sa raccontate le bugie. Se ne inventa sempre di nuove e intricatissime e lo fa perché le bugie sono senza dubbio più intriganti e fantasiose della realtà. Anche per questa ragione non fatica a fare amicizia con un gruppo di ragazzi conosciuti per caso al parco dell’Osservatorio astronomico.  Un gruppetto di bambini e ragazzi variopinto: c’è il leader, una ragazza quattordicenne dal piglio brusco e dagli occhi verdi “da mostro”; c’è Foglia, un bambino di 9 anni, malnutrito e sudicio, c’è il ragazzo dai capelli vaporosi che ama il cucito e marina il campo scuola, c’è la ragazzina saggia e il figlio di metodisti che reagisce all’educazione ricevuta infilando un paio di bestemmie e qualche parolaccia in ogni frase che pronuncia.

E infine c’è Annika, ben lieta di tenere fede al patto che tiene unito il gruppo: non raccontarsi mai nulla della propria vita. Ciondolano nel parco e per le strade di Stoccolma giocando a obbligo o verità, ma mai nessuno propende per la verità, che tutti rifuggono anche a costo di compiere gesti pericolosi, rischiosissimi.

L’estate trascorre e Annika non riesce a raggranellare il coraggio per andare a far visita alla mamma e al fratellino. Si interroga e si mette alla prova ma non riesce a compiere il passo che la condurrebbe dritta alla realtà.

Quando l’estate è quasi finita lo è anche il romanzo e gli eventi sembrano essere sull’orlo di un precipizio. In ospedale le cose si complicano in maniera preoccupante, mentre un “obbligo” molto rischioso mette a repentaglio vita e amicizia. Con un lessico asciutto e diretto, uno stile senza fronzoli e una protagonista bugiarda, Cilla Jackert ci racconta una storia squisitamente vera che si può leggere o ascoltare, io l’ho ascoltata dalla voce di Eleonora Calamita (audiolibro disponibile in collaborazione con Il Narratore Audiolibri).

Ci si vede all'obseTitolo: Ci si vede all’Obse
Autore: Cilla Jackert (traduttrice Samanta K. Milton Knowles)
Editore: Camelozampa
Dati: 2018, 200 pp., 11,90 €

Lo trovate tra gli scaffali del Giardino Incartato

Universi. Dai mondi greci ai multiversi

La prima grande domanda, seconda forse solo a “come sono nato?”, è “com’è fatto il mondo? Cosa c’è in cielo?”. In parole più adulte sarebbe: com’è fatto l’universo?

Che poi tra il mistero della vita e quello dell’universo il legame è fortissimo, sono due facce della stessa curiosità: cosa c’era prima di me, cosa ci sarà dopo di me? Cosa c’era prima della Terra? Cosa ci sarà dopo?

E tutto quello che sta nel mezzo è l’unico metodo oggettivo e analizzabile per trovare (ipotizzare) qualche risposta. Ci provano, con l’universo, gli uomini, fin dal momento in cui vi è traccia scritta della propria curiosità, quindi si suppone da ben prima. I filosofi lo descrivono e ne dissertano adattandolo alla propria visione teorica, parlano spesso di un universo che non risponde a leggi fisiche ma si ‘concretizza’ in un ideale. Affascinante, ma molto complesso.

<em>Universi - Dai mondi greci ai multiversi</em>, di Guillaume Duprat - 2018 L'ippocampo Ragazzi
Universi – Dai mondi greci ai multiversi, di Guillaume Duprat – 2018 L’ippocampo Ragazzi

Non che quando entrano in campo la scienza matematica, l’astrofisica, l’astronomia, la geofisica, la meccanica quantistica, e la relatività di Einstein le cose si semplifichino…

Come parlare dell’universo, dunque, ai bambini? Di tutti gli universi che dall’aba dei tempi fino ad oggi sono stati immaginati, osservati, ipotizzati e quindi teorizzati?

Per mezzo di immagini e meraviglia, che possono diventare, e spesso lo sono, i due strumenti primi alla base delle scoperte scientifiche.

Guillame Duprat tesse dunque, attraverso immagini dall’attendibile validità scientifica, un viaggio attraverso la meraviglia e le meraviglie dell’universo di oggi, di ieri e persino di domani, con prospettive di nulla cosmico un poco spaventose, ma arrivo necessario e inevitabile, conseguenza naturale della domanda di partenza.

<em>Universi - Dai mondi greci ai multiversi</em>, di Guillaume Duprat - 2018 L'ippocampo Ragazzi
Universi – Dai mondi greci ai multiversi, di Guillaume Duprat – 2018 L’ippocampo Ragazzi

L’età consigliata dall’editore è 6-7 anni. Credo che la lettura di questo libro a sei anni sia prematura ma credo altresì che sia un libro che una bambina o un bambino di sei anni possano ricevere in dono e, pur non cogliendone tutta la complessità, essere attratti dalle finestre, dalle illustrazioni e fruirne poi fino a quando non divengano giovani adulti. Credo, quindi che non possa mancare nella libreria di casa, perché di bambini col naso all’insù, verso il cielo, a porre e porsi domande, non ne mancheranno mai.

UniversiTitolo: Universi – Dai mondi greci ai multiversi
Autore: Guillaume Duprat
Editore: L’ippocampo Ragazzi
Dati: 2018, 48 pp., 19,90 €

Niente paura, Little Wood!

Genie ed Ernie sono in vacanza dai nonni in campagna, in Virginia. I genitori devono partire per la Giamaica per una vacanza che li aiuti a ritrovarsi, a cercare di porre rimedio alla distanza che il tempo ha messo tra di loro (da qui il “devono”). Per i due fratelli lasciare New York per la Virginia rurale è uno strappo consistente in abitudini e contesto; per Genie non avere il wi-fi, per uno come lui che a Google pone almeno tre domande al giorno, è cosa inconcepibile, per Ernie non avere un pubblico nutrito a considerarlo fico, altrettanto fastidioso, ma tant’è. Senza fronzoli o periodi di adattamento i due fratelli si ritrovano a vivere in una campagna solitaria, con una nonna energica coltivatrice di piselli e un nonno cieco, che indossa sempre gli occhiali da sole e nasconde più di un segreto.

In quella che non tarda a diventare la routine dei due ragazzi, si inserisce una ragazza che subito fa breccia nel cuore di Ernie e che per Genie rappresenta una possibilità di rimanere connesso, di avere qualche risposta: a casa sua c’è il wi-fi. Ma anche una madre patologicamente ipocondriaca. Attorno a queste case popolate da sofferenze e misteri, boschi fitti e una natura che si conserva selvaggia e con la quale gli uomini interagiscono con ferina spontaneità (il nonno di Genie prima di diventare cieco era un cacciatore, così come a caccia, perfino di scoiattoli, va il suo migliore amico).

Genie è di natura curioso e molto empatico. Per una distrazione rompe una macchinina rossa, oggetto molto prezioso per la nonna; da questo imprevisto una scoperta amara, la morte dello zio in guerra, che sarà la maglia di aggancio tra lui e il nonno, che di quella morte non ha ancora maturato il dolore e per la quale si sente in colpa.

Un passo incerto dopo l’altro, Genie scopre che ogni adulto con il quale ha a che fare nasconde in sè molte fragilità e che esse paradossalmente possono rivelarsi terreno fertile tra l’età adulta e l’infanzia, la fanciullezza di cui lui è invece l’orgoglioso portatore. Con molta pazienza e altrettanto amore, riesce a far uscire il nonno dalla casa in cui si era recluso, riesce a darsi spazio, coraggio.

La principale maestria dell’autore, Jason Reynolds, è quella di rendere vere le voci di Genie, Ernie, del nonno; di non indugiare in ricami, di passare lievemente, invece, sulla realtà, con un tono e un timbro che induce il lettore ad addentrarsi in questi boschi, in cui i Wood, grandi e piccoli, tra intraprendenza e rischiosi riti di passaggio, fronteggiano e vincono le proprie paure.

81vExsHICrLTitolo: Niente paura, Little Wood!
Autore: Jason Reynolds (traduzione Giuseppe Iacobaci)
Editore: Terre di Mezzo
Dati: 2018, 328 pp., 14,90 €