Ricordo un giorno di una decina di anni fa, parlavo con mia nonna di fiabe (sì, perché avendone ascoltate tante dalla sua voce la considero piuttosto esperta in merito) e si ragionava su nani, folletti, esseri magici alla cui esistenza da bambina credevo piuttosto fedelmente. Io citavo fiabe celebri, lei stava silenziosa, poi, con i modi spicci che la contraddistinguono mi disse: “quando ero bambina mi raccontarono che c’erano nani e gnomi nei boschi di castagno e in quelli di abeti vicini al lago. Non ho difficoltà a crederci, visto che queste persone sfortunate si rifugiavano proprio nel fitto della foresta per allontanarsi dai giudizi e spesso dalla crudeltà altrui”. Diede quindi una spiegazione piuttosto razionale e confermò alle mie orecchie di ragazza la qualità realistica delle fiabe, il realismo magico che leggo sempre in esse.
Perché questa personalissima premessa? Perché una volta c’era in Sicilia un uomo così capace di nuotare e di stare in apnea sott’acqua a lungo che divenne fiaba e si fece leggenda. Delle sue imprese scrive un cantastorie trai più prestigiosi, Giuseppe Pitrè, delle leggende in merito tramandano le tracce vecchine, marinai, pescatori. E quest’uomo non era solo magico, aveva anche, a quanto riporta Bianca Lazzaro nella sua introduzione a questa edizione integrale che ce ne consegna ben 17 varianti, attestazioni e studi scientifici a supporto della sua natura marina: piedi palmati, pelle resistente all’acqua, polmoni con una resistenza superiore alla norma.
Ed ecco qui il realismo che si intreccia alla magia e che rende l’oralità di certe leggende popolari pratica narrativa, fiabe.
Cola Pesce sapeva nuotare meglio di un pesce e dei pesci aveva qualche caratteristica fisica. Nel mare trova il suo habitat naturale, in acqua praticamente vive, ma in totale solitudine, chiacchierato, direi celebre, ma abbracciato solo dai flutti. Questa solitudine, che definirei anche emarginazione coatta, lo porta a cercare il contatto con i suoi simili terrestri, a voler dimostrare il proprio valore. Si spinge oltre i suoi limiti sebbene cerchi in certe occasioni di opporre timidamente resistenza a richieste crudeli. Perché Cola Pesce accetta di fare ciò che sa di non poter riuscire a compiere senza farsi del male? Re, governatori, regine gli chiedono di riportare a galla tesori, di esplorare fondali, di appurare confini: mostrami che sei capace e io ti ricompenserò. Ma da queste imprese forzate per capriccio o per brama di potere Pesce Cola non torna mai, muore o scompare.
Pesce Cola è un uomo, ma è stato un bambino e poi un ragazzo. Fabian Negrin rappresenta le tre età dell’uomo/pesce in tre tavole trionfo di blu e turchese. Mi sono imposta una sola osservazione per ciascuna, ne occorrerebbero troppe per lo spazio di una recensione: laddove il mare incontra la terra l’acqua si fa familiare trasparenza, non minaccia, non spaventa, sul bagnasciuga riluce, come Cola Pesce, un po’ mare, un po’ terra.

Le bolle d’aria si inseguono numerose a guadagnare la superficie, trasmettono l’urgenza del respiro; assieme allo sguardo spalancato del bimbo Cola Pesce suggeriscono una tragedia imminente.

La voce di una madre esasperata si fa suo malgrado maledizione, prende forma di pesce e raggiunge un figlio che è già mezzo ragazzo e mezzo delfino.

Allora ti devi calare di nuovo, ché vogliamo sapere da dove arriva quell’acqua calda calda”. E il Pescecola le disse: “Mi volete morto? Io non torno più. Datemi una canna e se dopo un’ora torna a galla, io sono morto”. La canna tornò a galla e il Pescecola morì.
Di Pesce Cola in mare si perdono le tracce ma sulla terraferma, o meglio, sulla carta si può andare molto a ritroso nel tempo fino a trovare in ballate antiche salsedine e alghe. Pitrè nel Seicento attesta Pescecola in una segnalazione di Athanasius Kircher per poi ritrovarlo, diversi anni dopo, a vestire i panni del Tuffatore di Schiller (altri rimandi nell’introduzione a partire da p. XV).
Questa raccolta si nutre non solo dei frutti del mare, sono decine le fiabe narrate, spesso crudeli, altrettanto spesso bellissime, con tratti esuberanti, eccezionali, unici. C’è persino una fata maschio. Ritorna nella fiaba che qui si chiama “Donna Peppa e Donna Tura” (che Basile racconta come “La vecchia scorticata”): due sorelle vecchie e rattrappite si ritrovano al centro di un fraintendimento per un banale accidente quotidiano, per dell’acqua saponata. Si ritrovano a entrare nel mirino delle voglie di un re. Così com’erano avrebbero dovuto rinunciare, ma una di loro non si da per vinta, o meglio si dispera. E lo fa a gran voce, tanto da attirarsi la benevolenza di una fata barbuta, una fata maschio. Di come una delle due finirà scorticata lo lascio alla vostra immaginazione, o alla lettura di questo volume illustrato prezioso.
Titolo: Cola Pesce e altre fiabe e leggende popolari siciliane
Autore: Giuseppe Pitrè, Fabian Negrin (a cura di Bianca Lazzaro)
Editore: Donzelli
Dati: 2016, pp. XXIV-330, 30,00 €
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Una risposta a "Fiabe incrostate di salsedine. Profumano, pizzicano"